Lacrime sul Confine
Il Confine è complicato. E’ una frontiera immensa dove si mischiano i sogni, le speranze e le paure di milioni di persone. Le ruggenti jeep della Border Patrol, chiamata più comunemente “la Migra”, la polizia migratoria, percorrono km di filo spinato, di muri, di steccati, di reti metalliche, a caccia dei clandestini accompagnati fino a un passo dall’America più ricca e fortunata dai coyotes, i trafficanti del deserto, quelli che conoscono i buchi nella rete, le crepe nel muro, i punti deboli per provare a passare. E che ti chiedono fino a 2.000 dollari a testa per l’ipotetica fuga.

Il Confine ti strema. Ci sono quelli che ci arrivano dopo cammini di mesi dall’Honduras, dal Nicaragua, da El Salvador, dal Chiapas, dopo episodi di botte, agguati, prigioni, a piedi nudi, morti di sete, coperti di stracci. I “candidati all’immigrazione clandestina” (Stefano Ardito, “Meridiani Messico”). Stremati dal sole assurdo del deserto o dal gelo improvviso delle sue notti. Traditi negli ultimi metri proprio dai coyotes che così si guadagnano la cifra doppia, per il passaggio e per la delazione. O ingoiati dal traffico, dai neon, dai peccati e dai rischi di Tijuana o di Nogales o di Ciudad Juarez, in cerca di un’occasione, di un colpo di fortuna, di un riscatto difficile, con l’eterna promessa agrodolce dell’America sfuggirgli proprio là, davanti agli occhi.
Più di 3.000 km sorvegliati a vista
La frontiera dal Pacifico al Golfo del Messico è lunga 3.200 km e assai blindata: a Nogales hanno costruito un friendly wall ridicolo, alto quattro metri ma “abbellito” dai disegni dei bambini, nella texana El Paso sono ben mille i km di fiume, del mitico Rio Grande che alterna acque limacciose a distese pietrose, a essere controllati metro dopo metro. Gente annegata, gente asfissiata nei container, gente rapinata o uccisa, migranti i cui resti sono stati finiti dai coyotes, quelli veri: quanto dolore, quanta tristezza. Fuori i 38 passaggi ufficiali, dove si passa solo coi documenti a posto, accade di tutto…

La frontiera dei sogni inutili
Ma perché tanti messicani e tanti poveri latino americani si sono assiepatati lungo questo maledetto Confine? Cosa li ha attratti? Evidentemente hanno sempre visto negli Usa la terra dei sogni, dei grattacieli scintillanti, delle mode e delle opportunità. Migliore del loro campo, dei loro barrios senza luce, fogne, servizi, dei loro villaggi addormentati sulle montagne del Messico. Sono arrivati qui, a frotte, e dopo viaggi allucinanti e truffaldini hanno scoperto di aver finito i soldi per pagare i coyotes e così ci hanno provato da soli a passare il confine ma il filo spinato, il muro, le guardie di frontiera aizzando i cani o facendo ruggire le jeep li hanno bloccati, schedati e rispediti oltre il Rio Bravo.
Gli aspiranti clandestini sono rimasti pertanto in una terra di nessuno, vicini ma lontani dagli Usa e lontanissimi da casa loro. Restava una scelta: spezzarsi la schiena nel produrre pezzi di montaggio nelle maquiladoras, le fabbriche nate per soddisfare i bisogni degli americani con una manodopera a bassissimo costo. Quanti giganti dell’elettronica, quante case automobilistiche, quante industrie tessili hanno prosperato sulle spalle di questi disgraziati. All’inizio molti di loro erano convinti che avrebbero raggiunto i risparmi necessari per passare il confine ma poi si sono accorti che il confine se li ingoiava, che le ricchezze gli passavano sempre sopra la testa e che il loro destino restava relegato a quello di un’umiliante sconfitta. Spinosa come i milioni di cactus sparsi su quel territorio.

Le colonias dei disperati
Così sono nate e cresciute tra Tijuana, Mexicali, Ciudad Juarez, Nuevo Laredo le periferie tra le più disastrate al mondo, abitate da gente povera, senza più sogni e finita nelle reti del narcotraffico di frontiera pur di sopravvivere. Una spirale di violenza senza fine, che ha reso le colonias di cemento, lamiera o cartone dei posti orribili e pericolosi. Dove si sentono solo urla e spari. Dove le bande criminali si sono occupate dell’”educazione” dei bambini, arruolandoli. Perché di eserciti e di guerre ormai si tratta.
I ragazzi e le ragazze senza più sogni, gli uomini senza più lavoro si sono trasformati in esseri brutali e hanno venduto l’anima per guadagnare qualcosa: spacciando droga, fabbricando e consegnando documenti falsi, dandosi alla prostituzione, commettendo rapimenti ed estorsioni ai negozianti, addirittura ai danni di chiese e scuole, accettando il passo dal quale non si torna più indietro, il primo omicidio su commissione.

La droga, soprattutto
Ci sono stati anni nel Messico del Nord dove la prima notizia di ogni alba erano il numero degli assassinati: gli Artistas Asesinos hanno insanguinato le strade per il cartello di Sinaloa, guidato da El Chapo Guzman, gli Atzecas hanno risposto con ogni atrocità per il cartello La Linea di Ciudad Juarez, la città sprofondata nel peggiore degli incubi.
Le pandillas, le squadracce dei cartelli, vogliono l’annientamento totale dell’avversario, spesso le morti procurate sono simboliche e orribili: la lingua tagliata di un cadavere lo presenta come uno che ha tradito, le mani tagliate come uno che rubato, le gambe tagliate come uno che voleva scappare dalla sua gang, i coglioni tagliati come uno che insidiava la donna sbagliata. Per non parlare delle teste tagliate e sistemate agli angoli delle città per seminare l’orrore collettivo: raccapricciante.
Altro che sogno, il Confine molto spesso può assomigliare all’inferno.
E raccontare con onestà intellettuale tutto le malefatte del narcotraffico è un rischio e un’impresa, perché dal 2000 ad oggi sono stati uccisi centinaia di coraggiosi e indifesi reporter. In alcune città ci sono interi quartieri di tossicodipendenti e i cartelli sono andati a uccidere addirittura i cittadini che provavano a frequentare i centri di disintossicazione!! Così come sono stati massacrati giocatori di calcio in procinto di frequentare un’associazione pacifista!!
La domanda
La domanda tragica che resta sul tavolo è una sola: come potrà terminare tutto questo se oltre la frontiera c’è il più vasto mercato di consumatori di droga al mondo con quasi 10 milioni di cocainomani che continuano a far prosperare i cartelli? Liberalizzare le droghe è una scelta delicata e opinabile, ma forse lungo il Confine può evitare altre scie di sangue.
Il romanzo del Confine

C’è un romanzo uscito di recente che secondo me racconta meglio di altri le storie difficili del confine, le illusioni, le speranze che alimenta, i sogni che mortifica, i pericoli insiti in questa linea geografica, in questo parallelo della clandestinità. Si tratta di “Il sale della terra” di Jeanine Cummins e in alcune pagine è un vero pugno allo stomaco. L’inizio è atroce e descrive crudamente la strage di una famiglia borghese ad Acapulco (altra città violentissima dietro la sua patina dorata di hotel e crociere, anche se non siamo al Confine…), strage dovuta alla coraggiosa attività giornalistica del padre, capace di far mancare la terra sotto ai piedi al boss del cartello locale che aveva colorato di sangue e riempito di teste mozzate la paciosa città balneare.
La mamma che si salva col suo figlioletto acquista subito una consapevolezza: “Oggi in Messico l’uomo nero è fatto così. Non c’è bambino, ricco, povero, di classe media, che non abbia visto un cadavere per strada. L’omicidio come realtà quotidiana… Esiste una gerarchia del pericolo, che alcune famiglie sono più a rischio di altre…Luca sapeva che questo giorno sarebbe arrivato”. E un’altra: che la metà dei poliziotti, dei giornalisti, dei medici, dei politici, dei ferrovieri (e scoprirà anche dei coyotes) di certe città del paese sono sotto lo stipendio dei narcos, in questo caso della banda dei Jardineros, così chiamati perché per le loro azioni preferiscono usare vanghe, asce, falci e machetes…. Resta solo una possibilità: la fuga verso Nord, la fuga anonima e avventurosa verso l’America.

La Bestia
Ogni esperienza, ogni momento è vissuto con ansia: il passaggio ai posti di blocco, gli aiuti sospetti, i ripari delle notti, i salti volanti sui tetti dei treni merci usati dai migranti. Proprio così, i migranti, i loro viaggi, le loro paure, i loro stenti, la protagonista Lydia ora li vive tutti in prima persona. Conoscerà quelle persone “del mondo di mezzo”, che hanno lasciato una casa per trovarne chissà quando un’altra, conoscerà due sorelle honduregne fiere come due guerriere maya, ferite nel corpo e nell’anima e in cammino da mesi, conoscerà compagni di viaggio che verranno offesi, venduti, sequestrati, uccisi, da un coyote infedele o da un narco crudele ricoperto di tatuaggi minacciosi. Lydia scappa via lontano con gente che riesce a saltare sui vagoni della Bestia e altri che rimangono schiacciati sui binari perché falliscono la corsa di aggancio al treno o perché sbattono la testa nelle strette gallerie: “le rotaie si allungano nel paesaggio messicano come una pianta di fagioli in cui i migranti devono arrampicarsi”.

La capitale tentacolare, la poetica San Miguel Allende, la dolce Guadalajara, gli stati pericolosi del Chihuahua e del Sinaloa, la sonnolenta Hermosito, le trappole temute a ogni fermata, in ogni persona: il viaggio non è mai tranquillo e la disperazione e la stanchezza viaggiano sempre con loro. In più le notti del deserto sono fredde, “così Luca e Mami si rannicchiano vicino a uno dei fuochi, mettendosi tutti i vestiti che hanno e avvolgendosi nella coperta come un burrito multicolore”.
Il viaggio tuttavia non toglie la speranza, di arrivare a casa dei parenti nel Maryland, di ricominciare una vita, di salvarsi dal Boss che coi suoi sgherri li insegue ovunque. Luca se lo immagina e se lo sogna il Norte, “immagina di sentirne l’odore all’orizzonte, tutto Chicken McNuggets e Nike nuove. Lo vede quasi scintillare in lontananza e il suo corpo freme per il desiderio di raggiungerlo”.
La Migra

Nelle ultime pagine il romanzo si carica di una grande tensione emotiva perché il Confine si avvicina ed è proprio sul Confine che i migranti o i fuggitivi che siano trovano la Migra ad aspettarli, “come un branco di portieri strapagati”, coi loro droni, le telecamere, i loro fari e gli elicotteri e gli occhiali a raggi infrarossi… Passano giorni riparati in qualche buca dal sole cocente, passano notti all’addiaccio, tra scorpioni e serpenti a sonagli, badando bene a non ferirsi per non ostacolare la corsa finale, a non buttare una goccia d’acqua, a non farsi fregare dall’ultimo sicario, in ascolto dei rumori più impercettibili che trasmette il deserto, per non farsi scorgere, per non sprecare i soldi pagati al coyote di turno e tutto il lungo viaggio compiuto sopra i treni.

E alla fine nel momento perfetto del deserto, un tramonto incendiato di colori, il passaggio. Si, i senza volto passano e non sono invasori o criminali che hanno in mente di prosciugare le risorse dell’Occidente, sono soltanto degli esseri umani che vogliono ricominciare a vivere.
Nel suo epilogo la scrittrice ricorda il graffito su un muro di Tijuana che recitava: “Tambièn de este lado hay suenos”. Anche da questo lato ci sono i sogni. E’ stato esattamente questo il motore della sua storia, del suo impegno, del suo lavoro. Complimenti, dal Confine.

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