La missione di San Ignacio
La Mexico 1 a questo punto lascia il Pacifico e taglia la sottile penisola verso il Mar di Cortès, raggiungendo la poetica oasi di San Ignacio. Essa è alimentata da una grande sorgente e rappresenta un momento di fresca e meritata pausa, all’ombra delle sue 80.000 palme da dattero, ulivi, agrumeti, lasciati qui, proprio come la storica e bianca missione in blocchi di pietra lavica risalente al 1728, dagli infaticabili padri gesuiti.
In certi libri rileggi le vite degli indios, educati dai gesuiti all’agricoltura, all’allevamento, all’artigianato e al vangelo, ma distrutti poi dal vaiolo, dalle altre malattie portate dai bianchi e dalla cupidigia degli invasori attratti dalle perle in fondo al mare come dalle miniere di rame della zona.
Mi piace ancora molto Pino Cacucci che tenta un parallelo tra la missione morale dei gesuiti nella Baja California con quella di Jeremy Irons e Robert De Niro nello splendido film “The Mission”. Ci ripenso anche quando vedo i piccoli indios buttarsi allegramente nel fiume. Il fiume, le palme, il deserto, il cielo, la missione, le campane, l’aria sonnolenta del sud: un quadro sereno e indimenticabile.

Dentro la Cueva Palmarito, raggiunta tra la polvere e il caldo, ecco altre enigmatiche pitture rupestri.
Da Santa Rosalia a Mugelè
L’incanto prosegue: dopo la vista dei coni vulcanici delle Tres Virgines si passa per Santa Rosalia con le sue case dai tetti spioventi in legno e la sua aria da film western derivata dagli anni in cui era un centro minerario di una compagnia francese. Qui è rimasta anche una chiesa in ferro costruita dall’ Eiffel della Torre di Parigi, oltre che l’ottima baguette sfornata da qualche panificio locale.
Ecco poi la verdissima oasi di palme e agrumeti di Mulegè dove si sosta davanti a un’altra missione in pietra, teatro nel 1847 di un’eroica battaglia di resistenza degli indios difronte ai marines statunitensi. Se si vuole si finisce questo scenografico percorso ovviamente in riva al mare, magari a Punta Chivato, molto amata dai surfisti.

La baia più famosa e il deserto più assoluto
La spettacolare cartolina di Bahia de la Concepciòn ti aspetta dopo un altro pezzo di strada. Ha un fascino incredibile per le sue spiagge larghe e candide invase a dire il vero da un po’ troppi camper. Ma le acque turchesi, i cactus giganti sotto i quali si incontrano i mufloni, le lingue di sabbia che spariscono nel blu formano un paesaggio unico nella Baja California.
Viene in mente una facile utopia: staccarsi da tutto, accontentarsi del sole e del mare, vivere di pesca in una capanna, passare le giornate a leggere, a fotografare, a ricordare. Ad amare la persona che hai scelto, con la natura complice.
Riprende la strada infinita verso sud, attraversiamo il Desierto Central, un avvoltoio osserva l’arido paesaggio di rocce incandescenti dalla cima di un cactus cereo, la specie più alta e ricca d’acqua. In queste aree vuote e assolate i momenti che conservi nella memoria sono legati agli esseri umani, a quei rari incontri con camionisti e rancheros coi cappellacci, le camicie a quadri, gli stivali di pelle, i baffoni grigi, le rughe sul volto. Bar e distributori di benzina appaiono ogni tanto nel nulla, sembrano scene del film “Paris, Texas” di Wim Wenders che in fondo racconta anch’esso di una ricerca, di un viaggio e di un’altra utopia.
Le notti sono nere, le passi in ascolto. Le stelle sono vicine, provi a contarle.

Da Loreto a Bahia Magdalena
Loreto dista 1.200 km da Tijuana, è un centro turistico di una certa importanza e fu la prima missione gesuitica nella Baja. Oggi conserva ancora edifici storici e musei dell’età coloniale e ci passi volentieri un paio di giorni, perché da qui si compiono favolosi giri in barca verso i reef di Isla Coronado, l’isolotto vulcanico che con la sua acqua cristallina forse rappresenta la gemma paesaggistica di tutta la Baja e il luogo ideale per sparire qualche tempo dal mondo.
Certamente meglio di Puerto Escondido (non quello del film di Salvatores che abbiamo già visitato nella regione di Oaxaca) che è un complesso turistico abbandonato che mostra con gli scheletri degli hotel uno dei volti più fragili dello sviluppo moderno della Baja.
Più avanti i picchi di Sierra de la Giganta che nascondono i resti della missione di San Francisco Javier, la meglio conservata di tutte, e sull’altro versante, nuovamente nell’immenso Pacifico, la Bahia Magdalena prescelta da altre balene per i loro amori. Altri salti, altri schizzi, altre foto.
La consapevolezza di aver visto in vita mia due tipi di balene: quelle solitarie al largo di Vancouver, riservate, orgogliose, qusi timide ad aspettarti nel loro elemento e queste messicane – che magari sono le stesse in viaggio come abbiamo visto (!) – ma che nella Baja scoprono il gruppo, il gioco, la socialità.
Da La Paz a Todos Santos

Si rispunta sul Mar di Cortès quando si arriva nella coloniale La Paz dove si soggiorna volentieri tra piccoli alberghi, ristoranti di mariscos, vari mercati, anche se l’attrazione maggiore è la colonia di leoni marini sdraiati al sole sull’isola di Espiritu Santu, distante solo due ore di barca dalla città.
I lobos li vedì schierati sulle spiaggette e sulle scogliere di questa magnifica riserva naturale, a dominare con mosse goffe e versi carismatici il loro harem: pensate un po’ che si godono a ripetizione almeno 40 femmine a testa! Oltre a loro nelle acque limpidissime di Espiritu Santu si incontrano facilmente mante e marlyn, pesci trombetta e pesci palla, se si ha fortuna con lo snorkeling anche gli squali martello. E tra i canyon di roccia ecco i balzi della lepre nera e del babisuri, uno strano incrocio di scoiattolo e volpe.
Si rivede il Pacifico nella tranquilla Todos Santos dove secondo Cacucci “i gringos hanno perso la fretta”, una piccola frontiera messicana animata solo dalle evoluzioni dei surfisti, dai timidi sorrisi degli abitanti e dalle belle gallerie d’arte. Da qualche parte arriva il suono di una chitarra, simile a quello di “C’era una volta il Messico” con Antonio Banderas e Salma Hayek. Lasciateci qua!

Finale a sorpresa
Infine dopo altre spiagge da favola, deserte, bianchissime, ecco il volto luccicante, occidentale e turistico, troppo turistico della Baja, quella Cabo San Lucas eletta dai gringos a loro buen retiro, sfarzosa di hotel e yacht, discoteche e cocktails, ville fantasmagoriche, lussi dorati e vizi esagerati.
La città che racconta e riassume tutti i rischi del degrado del paradiso naturale della Baja: questo paesaggio meraviglioso finirà così se prevarranno le logiche della speculazione edilizia e della rovina ambientale, del cemento e dei dollari.
Mi fa sensazione sapere che molti americani arrivano al Cabo direttamente e comodamente a bordo dei loro charter, saltando tutte le emozioni donate dal deserto, dal mare, dalle balene, dal viaggio. Saltando a piè pari tutta la magia e tutta l’utopia della Baja.
Meglio fissare il meraviglioso arco di roccia che si protende nel mare. Perché quaggiù il vero Messico è finito.

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