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I grandi reportages / Tutti i soli del Messico

Tutti i soli del Messico: la Barranca del Cobre

Nel regno dei canyons

Dopo la rotta dell’argento e delle città coloniali siamo arrivati a un grande spazio vergine del paese, a una grande fenditura che si apre tra le montagne dell’arido nord messicano. Tra altopiani color ocra, deserti grigi, migliaia di cactus, l’immagine di un paesaggio che ha sete.
Siamo arrivati fino a qui perché il Messico non finisce alle palme, alle piramidi maya, al mare turchese, ha un’anima verace, interna, polverosa, fatta anche di incredibili deserti e montagne, popoli lassù nascosti, che forse preferirebbero essere dimenticati.
Nel regno dei canyons lo sguardo si allarga, il petto respira e entrano dentro il mito del viaggio altre situazioni, altre forti emozioni.

una grande fenditura che si apre tra le montagne dell’arido nord messicano

Il viaggio comincia a Chihuahua

La città di partenza di questa nuova avventura è Chihuahua, col suo passato di echi rivoluzionari e di terra povera di minatori sempre sfruttati. Caldo, tequila, cactus nella polvere, periferie addormentate. Vai a vedere la fattoria di Pancho Villa (sotto la sua foto presa da wikipedia) dove riposa ancora la limousine bucata dai colpi di mitraglia che posero fine alla vita del guerrigliero contadino.

Vai a vedere la fattoria di Pancho Villa
*copyright

Vista Trèn

Poi sali su una specie di monumento nazionale itinerante, El Tren Escenico, chiamato anche Vista Tren, perché dopo l’attraversamento della zona di Cuauhtemòc e degli enormi campi coltivati con metodi arcaici dalle comunità di mennoniti, compie dalla stazioncina di La Junta in poi, col soccorso di una seconda locomotiva che serve a superare ogni tipo di pendenza, un percorso audace e meraviglioso, altissimo, sopra e dentro le nuvole, sopra e dentro la Barranca del Cobre.
Non vediamo l’ora di ammirare la Montagna del Rame, con le sue 86 gallerie e i suoi 39 ponti che sembrano galleggiare sugli impressionanti strapiombi della Sierra Madre occidentale. E dove solo il treno riesce a passare.

un percorso audace e meraviglioso, altissimo, sopra e dentro le nuvole

La nazione Tarahumara

Quel treno che Pino Cacucci nel suo diario di viaggio “La polvere del Messico” descrive benissimo come “l’unica via d’accesso alla nazione Tarahumara, gli indios che vivono in pueblos abbarbicati sulle bocche delle caverne, in una posizione grazie alla quale hanno resistito ad ogni proposito di conquista”, azteca o spagnola che fosse.
Proprio così: a volte la natura impervia dei luoghi significa in primis la loro salvezza, la loro protezione, anche se oggi, vari fenomeni più o meno invadenti (le rotte segrete del narcotraffico, i boschi distrutti dai taglialegna, i sentieri percorsi dagli ecoturisti), assediano sempre di più i Tarahumara.
Dopo i canyons il treno fischia e sbuffa dentro una sierra che diventa piano piano più verde e più profonda, subtropicale, la stessa dove si perse il drammaturgo surrealista francese Artaud, amante dell’essenziale e del primitivo mondo degli indiani locali, abituati a vagare nelle loro terre a piedi nudi, a compiere balzi sulle rocce, corse leggere, riti col peyote e danze e musiche dedicate alla Madre Natura.
I Tarahumara hanno caratterizzato con la loro presenza questi luoghi al punto di segnarli col loro nome: tutto intorno ai panorami di Creel si ammirano infatti gli speroni della Sierra Tarahumara, gli stessi che l’esploratore norvegese Lumholtz percorse a fine ‘800 a dorso di mulo per cercare le ultime tracce degli Anasazi. Un dato fa impressione: la Barranca del Cobre è 500 metri più profonda e 4 volte più estesa del Grand Canyon del Colorado, ma, si sa, gli americani sono stati più bravi nel marketing turistico!

la Barranca del Cobre è 500 metri più profonda e 4 volte più estesa del Grand Canyon

Il destino degli indios

Sui vagoni gialli del treno appare la silhouette di un indio che salta: salta dal Chihuahua al Pacifico, salta lontano dalla civiltà, salta da una montagna all’altra. A ogni stazione ti aspettano sdraiati sui binari gli ambulanti col loro cibo di strada e i loro prodotti artigianali, indios coi corpi e i visi pitturati di bianco che hanno bisogno più di soldi che di foto. Salgono boscaioli, scendono famiglie con fagotti, ammiccano in modo evidente delle prostitute. Un’umanità varia, di altura, un mondo di piccoli scambi, incontri, commerci, basati su coperte di lana, foulard colorati, cesti intrecciati a mano, tacos ripieni di carne e patate e salse piccantissime, strumenti musicali come tamburi e violini, monili e sculture in legno.

A ogni stazione ti aspettano sdraiati sui binari gli ambulanti col loro cibo di strada e i loro prodotti artigianali

Divisadero

La sosta alla stazione del Divisadero a 2.500 metri di altitudine permette di visitare con più calma e volendo con più giorni di trekking o cavallo questo nudo paesaggio, questi pueblos a tratti ancora primitivi, queste antiche culture, queste profonde barrancas. Cascate, precipizi, gole, forre, foreste di abeti, laghetti nascosti, il cielo vicino, le stelle vicine, le nuvole che sembrano parlare, il sole che sembra benedire ogni pietra, ogni uccello, ogni albero, ogni villaggio. Qua e là i piccoli villaggi dei Tarahumara, gli asili dove incontri i bambini, le loro grotte sacre, i belvedere che non dimentichi più.
Si sa di stranieri e di avventurieri scesi qui e mai più risaliti sul treno, affascinati dal vuoto della Barranca del Cobre, dalla sua spiritualità, dalla sua gente, dalle sue musiche. Si è proprio vero, alcuni occidentali che avevano tutto hanno deciso di vivere di poco, di cammini, di arte, di canti sacri o di pejote, rimanendo per anni nelle semplici comunità agricole dei “filosofi dai piedi leggeri”.

alcuni occidentali che avevano tutto hanno deciso di vivere di poco, di cammini, di arte, di canti sacri o di pejote

Creel e dintorni

Poco dopo El Divisadero ecco la fermata di Creel, centro di estrazione e raccolta del tesoro delle montagne, il rame. Altre scene di popoli minori, di minatori piegati in due da una vita di fatiche, di facce rugose e mani screpolate, di povere casupole sistemate in bilico sui canyons.
A Cuzarare appare come una visione una solitaria chiesa dei Gesuiti che arrivarono anche qui, tentando l’impresa di evangelizzare i timidi e fieri Tarahumara. Altre missioni con le loro cupole screpolate compaiono come un incantesimo dalle fitte trame della giungla verde.

Arrivo al mare

Alla fine del viaggio annunciata da nuove giungle cariche di banani e avocado, abitate da pappagalli e serpenti, ecco la terribile umidità di Los Mochis, città abbastanza inutile, dove cerchi solo una baracca che vende cibo fritto sotto un ventilatore per scolarti una birra ghiacciata e proseguire verso l’orizzonte terso e azzurro della Baja California. Dietro alcune bottiglie si scorge il viso taciturno dei Tarahumara che secondo me stanno bene solo nascosti sulla Sierra.

ecco la fermata di Creel, centro di estrazione e raccolta del tesoro delle montagne, il rame

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