Le province centrali
Un Messico minore nel cuore del Messico esiste: senza la frenesia, lo smog, le tentazioni e i problemi della sua gigantesca capitale, lontano quindi dal clamore mediatico, dalle classifiche di vivibilità, dai grandi numeri, dai grandi agglomerati. Ed esiste senza andarlo a cercare nelle giungle Maya o in riva al mare, esiste in un tessuto di città coloniali sparse sugli altopiani intorno al Mostro, poetiche di giorno, presepi di sera, esiste in un tessuto di vie e di rotte che hanno preso i nomi dell’Argento e dell’Indipendenza, tanto per ricordare le risorse minerarie e le storie e gli eroi di queste parti.

Nel nostro viaggio messicano abbiamo passato tanti momenti belli e sereni prima e dopo la conoscenza della capitale, quelli che seguono sono gli appunti presi tra una città e l’altra, quando al tramonto eravamo sotto le chiese barocche, a bere una tequila nelle piazze spagnole, a osservare i colori delle strade e delle case, la vita dei portici, i tesori delle botteghe artigiane, a godere dei succulenti piatti della cucina locale. Circondati sempre dall’aria dolce e dai panorami delle montagne vicine, alte in tutta la regione dai 1.500 ai 2.000 metri. Consapevoli di visitare luoghi che conservano integra tutta la vitalità commerciale e culturale del Messico. Eccole qua, eccole in fila, Taxco e Cuernavaca, legate all’argento e al clima primaverile, la storica Queretaro, il rifugio degli artisti ovvero San Miguel Allende, il quadro colorato e barocco di Guanajuato e infine la città che conserva gelosamente il patrimonio di tutto il folklore messicano, Guadalajara.
Taxco, miracolo d’argento
Si capita tra questi monti quando si lascia il D.F e si punta il Pacifico. E la sosta è obbligata perché Taxco è la perla del periodo coloniale spagnolo, un vero monumento nazionale, un tesoro artistico da proteggere se possibile dalla modernità, dalla fretta e dalla tecnologia. Quassù non ci possono arrivare troppe macchine, industrie, problemi, rovinerebbero per sempre le stradine tortuose, le piazzette incantate, le case bianche con le tegole rosse, le mille botteghe artigiane dove si lavora con maestria l’argento, simbolo della gloria passata e della ricchezza e del turismo presente.

Proprio per ringraziare Dio di aver trovato un gigantesco filone d’argento nelle miniere circostanti tale Don Josè de la Borda (la leggenda narra che cadde da cavallo sopra una vena d’argento!) fece costruire la magnifica Cattedrale di Santa Prisca che sorprende per la ricchezza del suo altare di legno dorato e la sua facciata ornata di motivi anche esotici, perché opera di scalpellini indiani.
A Taxco l’arte degli argentieri quasi commuove, per l’affetto e la bravura che ci mettono, quindi qualcosa di argento va comprato, un monile, un bracciale, una spilla, un regalo, un ricordo: a distanza di anni ancora ammiro una collana d’argento e turchese al collo di mia madre.
Primavera a Cuernavaca
La stagione di sempre, la stagione che segna tutto l’anno questa città gradevole, i suoi giardini, le sue ville, le sue dolci colline, i suoi prati fioriti, la sua vivace università.
A Cuernavaca sono esistite dai tempi antichi le residenze estive e le acque termali, degli aztechi come di Cortès, di cui si visita ancora il Palazzo con affreschi di Diego Rivera, fino all’Imperatore Massimiliano d’Asburgo e lo Scià di Persia. Si sono sempre scelte le sue strade, il suo clima subtropicale e la sua tranquillità proprio come una boccata d’ossigeno rispetto al caos della vicina capitale. Oltre al palazzo del feroce Conquistador e la Cattedrale a Cuernavaca non ci sono altre cose particolari da vedere, piuttosto è tutta da vivere la sua gradevole atmosfera e la sua eterna primavera.

La ribelle Queretaro
Più a nord di Città del Messico si segue la ruta de la indipendencia che ha in Queretaro il suo cuore storico e culturale, la città più spagnola, nello stile, nello spirito, nelle piazze, nei palazzi.
Si cammina sotto i suoi eleganti portici, i balconi in ferro battuto, le arcate dell’acquedotto, la curia vescovile. Molto pittoresco tutto il centro storico, pieno di fontane, di ciottoli scuri, di patios fioriti, di facciate in pietra antica come quella della Casa de la Corregidora. E molto ribelle la storia passata che in queste zone si trasformò in lotta per la libertà e nell’assassinio dell’ultimo imperatore straniero: Massimiliano d’Asburgo venne infatti fucilato nel 1867 su un’arida collina poco distante dalla città pagando la sua ambizione e la sua mentalità estranea alle vicende di un paese così lontano dalla corte asburgica. E sempre nella fiera e indomita Queretaro fu promulgata la Costituzione del Messico nato dalla Rivoluzione di Pancho Villa e Emiliano Zapata nel 1917.

San Miguel de Allende, piena di scorci artistici
Una tana di artisti, per davvero. Amata da Kerouac e da tanti altri intellettuali-viandanti americani, sempre in cerca del mitico e puro altrove. San Miguel de Allende nacque probabilmente come avamposto della scoperta mineraria degli altopiani del Messico centrale e come tappa dove le carovane che trasportavano l’argento si fermavano per evitare gli assalti dei banditi.

Nei suoi vicoli colorati e pieni di muri gialli, rossi e ocra dove si arrampicano i gerani e le bouganvilles si visitano con piacere tante gallerie di pittori, centri culturali, mostre fotografiche, botteghe artigiane, antiquari, patios dell’età coloniale. L’aria è indolente e a seconda dell’ora, dell’umore degli abitanti e del clima si fa più sonnacchiosa o più vibrante. Qui si è fermato chi ama produrre l’arte e vivere di spirito e arte. Qui sono rimasti molti statunitensi per motivi diversi di quelli che li fanno incontrare nelle strade di Tijuana o di Cancun. E anche le pause nei ristoranti intorno allo Zocalo tra tamales, tortillas, zuppe e arrosti sono davvero momenti intimi e speciali, che danno il senso di benessere di un piccolo luogo nascosto nel mondo e per questo salvo, puro, intatto.
Una curiosità insita nel suo nome: San Miguel fu il monaco che la fondò, mentre Ignacio Allende (un nome e un destino evidentemente, in America Latina) un generale eroico della Rivoluzione.

Guanajuato, una macchia di colore
Un vero gioiello coloniale che stupisce i sensi per i suoi colori al tramonto quando il sole si posa sui colori pastello di case e chiese, palazzi signorili e conventi antichi. Mi ha ricordato, con altri colori, altre atmosfere, la nostra Modica in Sicilia: lo stesso tipo di presepe notturno per esempio, gli stessi tesori nelle chiese (“alcune leggende raccontano che sono state costruite con malta impastata di polvere d’argento” – testimonia Enrico Martino su “Meridiani-Messico”), come l’immagine della Vergine nella Basilica ocra e barocca di Nostra Signora.

A Guanajuato i minatori hanno faticato tanto per estrarre dalle viscere delle montagne argento, oro e rame, in cima a una collina un monumento li celebra con amore e forse questa città è giusto guardarla da lassù, aggrappata alle pendici dei suoi monti e dei suoi canyon. Con minore povertà e malinconia, anzi con un certo grado di estetica e di opulenza, Guanajuato mi ha ricordato per il destino subito da molti suoi abitanti la Potosì boliviana: gli operai col casco e la dinamite andavano e in parte vanno ancora sotto terra, nella miniera di San Barnabè, a tirar fuori le ricchezze dei padroni, che anche qui, in casi “illuminati” come a Taxco, si sono impegnati ad abbellire la città, al punto che essa è stata dichiarata “Patrimonio dell’Umanità” dall’Unesco.

Oggi il popolo di Guanajuato mi ha dato l’impressione di vivere bene, nelle vie così strette dove i balconi quasi si sfiorano, nelle piazzette dove il sole gioca con l’ombra e i bambini a palla fra lenzuola stese e gli odori delle cucine, nelle cantine rumorose dove birra e tequila scorrono a fiumi, intorno all’Università frequentata da numerosi studenti, con le orchestre che accompagnano la vita quotidiana tra le colonne doriche del Teatro, nei saliscendi colorati delle scalinate, delle terrazze, delle colline.

Oltre alla Casa Natale del muralista Diego Rivera si visitano almeno un paio di musei originali, quello delle mummie (“creato da una commissione che sceglieva i soggetti più “curiosi”: dal feto più piccolo del Messico al cadavere del soldato rivoluzionario, all’assassino più efferato” – ricorda sempre Martino nel numero di “Meridiani”) e quello dedicato a Don Chisciotte e Sancho Panza. Non a caso sono notevoli le somiglianze tra gli altopiani di Guanajuato e quelli della Castilla e della Mancha. E così i sapori piccanti, le musiche allegre, i santi nelle cattedrali, la magia delle notti vitali. Un’ultima cosa sorprende di Guanajuato: la sua labirintica rete di tunnel e gallerie dove passano le macchine, quasi un ricordo del mondo-sotto, quello delle miniere, che appare ogni tanto nel mondo-sopra, quello dei tesori coloniali.

Verrebbe la voglia di proseguire verso nord, per raggiungere altre ex città minerarie affascinanti come Zacatecas o per cogliere le atmosfere senza tempo della città fantasma di Real de Catorce, ritratta in lunghe sequenze nel film “Puerto Escondido”, ma il tempo è tiranno e i km sono molti in questo paese bellissimo e sterminato.
Guadalajara, il folklore abita qui
Ultima tappa è la seconda città del paese, capoluogo del ricco stato di Jalisco, quella parte di Messico che conserva meglio di tutte le altre il suo immenso patrimonio folkloristico e artistico, fatto di fiestas y tequilas, mariachis y haciendas de agave, rodeos de charros (i cow boys locali abilissimi nel saltare sui cavalli selvaggi o nel prendere al lasso gli enormi tori) corridas y jarabe tapatio (la tipica danza dei cappelli). Di architetture spagnole e plazas de armas e chiese e giardini disegnati esattamente come in Spagna. La patria lontana che ha sempre ispirato Guadalajara.

“Ay Ay Ay, canta y no llores, cielito lindo en los corazones…” sembra scritta per il suo clima che permette la crescita di palme e di profumate orchidee e limoni; sembra accompagnare la sua gioia vitale; sembra la colonna sonora ideale per le sue piazze sempre piene di bancarelle coi tacos fumanti, sempre piene di gente, di belle ragazze che ancheggiano sui tacchi, di bambini che corrono a perdifiato, di innamorati che fanno le fusa sulle panchine di ferro battuto. Se si ha fortuna la banda musicale del Parco di Piazza Tapatia regala ogni tanto alla città il suo concerto.
“Guadalajara è una città deliziosa, rappresenta per il Messico quello che Siviglia è per la Spagna: la quintessenza, voluttuosa, maturata al sole, di un intero paese, una rassegna romantica di tutto ciò che c’è di più tipico in quella terra” (Bart Mc Dowell, “Vie del Mondo” del TCI, gennaio 1992).
Guadalajara ha anche avuto fortuna, non ha subito guerre, né ferite dalle rivoluzioni, ha attraversato i tempi custodendo le sue bellezze, i suoi commerci col Pacifico e le sue numerose tradizioni, che vanno dalla bevanda più famosa del Messico ai musicanti girovaghi vestiti di nero e divenuti leggenda perché accompagnano ogni festa, cerimonia, banchetto, processione, con un repertorio incredibile che si dice addirittura che conti fino a 5.000 ballate tradizionali!!
Il centro storico di Guadalajara è raccolto intorno alla Cattedrale e a quattro grandi piazze principali, tutte da vedere, volendo con un giro in calesse. Insieme a l’Hospicio Cabanas coi murales politici di Orozco, l’elegante Teatro Degollado in stile neoclassico dove assistere alle danze locali, le mostre del Centro Cabanas e soprattutto l’immersione nel folklore del Mercado de la Liberdad coloratissimo di frutte e verdure tropicali, tipico per le chitarre da serenata in vendita, le lamette da mettere sugli speroni dei galli da combattimento, le stupende ceramiche, i pellami che si trasformano in articoli da rodeo e le pozioni magiche delle streghe a base di iguane essiccate!!!

Se si vogliono visitare i dintorni del granaio del Messico (da questi campi proviene la maggior parte del grano usato per divorare le tortillas da Monterey a Tulum) le mete migliori sono i villaggi coi mercatini artigianali (Tlaquepaque e Tonalà), il lago Chapala per una giornata di relax e una gita in barca, oppure il tour delle aziende agricole e delle piantagioni dove l’agave azzurro “maguey” sapientemente distillato diventa il poderoso e infuocato liquore tequila, un liquore muy macho da buttare giù con un sorso solo, col sale e col lime.

Ogni serata finisce poi in qualche ottimo ristorante, con tequila, violini, trombe e canzoni incluse nel prezzo, sicuramente! A fine concerto i mariachis li ritrovi nella loro piazzetta, stanchi, sorridenti e con una bottiglia in mano.
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