Il Lago d’Averno
Vicino all’attuale Pozzuoli è il luogo o meglio il regno dei morti, dove Ulisse consulta l’indovino cieco Tiresia, interrogandolo ansioso sul suo futuro. La risposta placa le sue ansie: “Farai comunque ritorno nella tua Itaca”.
Qui vicino al bellissimo sito archeologico romano di Cuma, in uno dei quattro laghi dei Campi Flegrei, tra i vigneti e altri alberi come i pini marittimi, i salici e i lecci adagiati sulla conca di un vulcano spento, dove natura e mito si sfiorano e si avvicendano, i vapori sulfurei facevano pensare a una specie di porta dell’inferno, con protagonista Caronte. Oggi invece ci si passeggia volentieri e si incontrano tante specie di uccelli proprio vicino al Tempio di Apollo.


La costa delle Sirene
Il bellissimo sortilegio, la perenne e infida tentazione aspetta Ulisse e i suoi compagni al largo della costa di Sorrento, probabilmente tra i flutti marosi vicini ai faraglioni di Capri.
L’episodio che si svolge nel panorama da cartolina amato dai viaggiatori romantici di tutto il mondo è tra i più noti e affascinanti dell’intera Odissea.
Ulisse rappresenta l’eroe attratto perennemente dal mistero e dal pericolo e per sfuggire al canto melodioso delle creature che vivono in fondo al Mar Tirreno campano e che si aggrappano coi loro artigli rapaci alle scogliere, obbliga i suoi compagni di viaggio a tapparsi le orecchie con la cera e a legarlo ben saldo attorno a un palo, perché lui come sempre curioso fino all’estremo, quel canto lo vuole assolutamente ascoltare. Perché è una promessa di conoscenza, un velo scansato davanti alla dimensione del divino e del fato.
D’altronde non è vero che ogni innamorato del paesaggio italiano bellezze assolute come i faraglioni o la grotta azzurra voglia assolutamente visitarle??? Non è per lo stesso motivo che luoghi come la costiera sorrentina e amalfitana non solo per Positano, Ravello e gli altri incantevoli scorci panoramici continuano ad attrarre turisti e viandanti alla ricerca della luce, dell’azzurro e del mito?

Digressione canora: mi è sempre piaciuto tanto il testo di Francesco De Gregori sul mito delle sirene…
Non sarà il canto delle sirene, che ci innamorerà
Noi lo conosciamo bene,
l’abbiamo sentito già
e nemmeno la mano affilata, di un uomo o di una divinità…
Non sarà il canto delle sirene, nel girone terrestre,ad insegnarci quale ritorno, attraverso alle tempesteQuando la bussola si incanta, quando si pianta il motoreNon sarà il canto delle sirene, a addormentarci il cuore,quando l’occhio di Ismaele si affaccia da dietro al sole,e nella schiuma della nostra scia, qualcosa appare e scompare
Non sarà il canto delle sirene, che non ci farà guardare…
Come dire che pur consapevole del fascino e della sensualità delle ambigue creature del mare l’uomo riesce a resistere, a loro e agli dei avversi. Ascoltando bene la canzone ci vedo anche una precisa forza contrapposta, “sarà la voce delle nostre donne, a guidare i nostri passi”: Ulisse deve averlo capito, deve aver capito che Itaca e Penelope erano lì ad aspettarlo. Così l’uomo moderno per de Gregori deve badare alla sostanza della verità e non alle facili promesse.

Interessante anche quello che emerge da altre fonti sulle sirene: una di loro, tale Partenope, risentita dalla fuga di Ulisse, si sarebbe lasciata morire trascinata via dalla corrente fino all’isolotto di Megaride (l’attuale sito di Castel dell’Ovo) dove dissoltasi nelle acque avrebbe fondato la città di Napoli.
Scilla e Cariddi
Stavolta la traccia geografica narrata nell’Odissea è assai evidente, si tratta sicuramente della Calabria, nei pressi dello Stretto di Messina.
In antichità, le navi che passavano dallo stretto venivano distrutte dalle forti correnti marine e questo fenomeno naturale portò alla nascita dei miti di Scilla e Cariddi, due incombenti pericoli che la Maga Circe aveva preparato Ulisse ad affrontare.
Scilla era una bellissima ninfa che avvelenata si trasformò in un feroce mostro a sei teste pronto a mangiarsi in un attimo ben sei compagni di Ulisse.
Cariddi era invece una specie di mostro marino che viveva sulla sponda opposta, identificata con la spiaggia messinese del Faro, e qui sputando e ingoiando acqua e creando pericolosi vortici la ninfa delle acque trasformata da Poseidone in un’entità feroce e malvagia massacrò i compagni di Ulisse, colpevoli di aver mangiato in Trinacria, l’attuale Sicilia, i buoi sacri al Dio Sole.
Calabria, Sicilia, terre stupende, piene di storie e di miti. Non è un caso che gli stessi mari e campagne ci abbiano regalato lo splendore dei Bronzi di Riace o del guerriero di Mozia. Sicuramente nascondono ancora migliaia di reperti archeologici, tesori, anfore, armi e chissà se altri mostri marini!


L’isola di Ogigia
Una delle tappe più misteriose e dibattute dell’Odissea non riguarda con certezza un paesaggio italiano: dove mai avrebbe incontrato Ulisse la seducente ninfa Calypso, indugiando sette lunghi anni con lei in quest’isola dolce di acque, boschi e spiaggette incantate?
C’è chi tra gli studiosi la identifica in Gozo a Malta, chi difronte Ceuta nello Stretto di Gibilterra, chi sulle coste calabre di Cirò Marina o su quelle nere di Pantelleria e chi invece propende per la meravigliosa isola croata di Mljet, al largo di Dubrovnik.
Quello che è certo è che dopo l’età del vizio e dell’abbandono Ulisse rifiuta il dono dell’immortalità e per volere degli dei riprende il suo viaggio verso Itaca a bordo di una zattera.
In tutta la sua Odissea questo resta il luogo più ignoto e sparso qua o là nel mare, quindi è anche bello che ognuno di noi in base al suo immaginario, alle sue letture o magari grazie ai suoi viaggi abbia sentito di più quel richiamo in un’isola piuttosto che in un’altra.
Chi scrive fa il tifo per l’isola croata famosa per i mari interni, per il verde, per il miele. Ma questo argomento sarà trattato in altro racconto.
Il ritorno a casa

La Terra dei Feaci, penultima tappa del viaggio infinito di Ulisse, viene rintracciata nell’attuale isola greca di Corfù. Siamo ormai nello Ionio greco, poco prima dell’agognato ritorno a casa. Qui naufragato per colpa di una tempesta scatenata ancora una volta dal dio Poseidone, Ulisse conosce il Re Alcinoo che gli regala una nuova barca e la figlia Nausicaa, permettendogli di concludere felicemente il lunghissimo viaggio. Manca solo l’approdo a Itaca, con Ulisse vecchio e stanco, il fedele cane Argo che unico lo riconosce, la paziente Penelope in sua attesa, la vittoria nell’ultimo scontro coi prepotenti Proci, l’abbraccio col figlio Telemaco.
Dopo sirene, giganti, mostri e tempeste un sereno, rassicurante, ritorno a casa.
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