Pietre e pensieri di Jerash
Poco prima di arrivare a Jeirash mi salta all’occhio che la Polaris, guida scritta da un archeologo, dedica alla città morta ben quaranta pagine. O è un grafomane o ce ne è da vedere. Nel dubbio, salomonicamente, decido di non leggere. Preferisco affidarmi alle sensazioni più che alla razionalità.

Dopo aver mangiato in un posto che, per gli standard giordani, è indubbiamente da ricchi, attingendo specialità da un grande buffet e pane appena cotto dal simpatico tipo coi baffi all’esterno che lo cuoceva attaccandolo alle pareti di un forno rovente, attraversiamo l’area dedicata ai negozietti, giungiamo tutti insieme sotto la prima immensa porta di quella che fu un’importante città romana e, come spesso mi accade in questi casi, chiedo l’ora dell’appuntamento e piazzo uno scatto anarchico, dileguandomi in una visita fai da te di due ore.
Ad Angkor, con i dovuti paragoni, accadde lo stesso. Dopo cinque minuti di guida mi stufo e vado. Decido di ascoltare non la voce di Mohammed ma quella delle pietre. Mi parlano di una città grande e sorprendentemente ben conservata. C’è una strada lunghissima, una specie di cardo pompeiano, affiancata da templi, basiliche e colonne, piazze, terme e ninfei, che cambia direzione lì dove si apre una piazza ovale, il foro, un colonnato quasi da vaticano, unico nelle opere romane in terre arabe.


In fondo alla grande via, lungo la quale si accalcano venditori di fortuna, guide improvvisate e vecchie dalla pelle rugosa sistemate al riparo della scarsa ombra regalata dalle colonne, c’è un teatro emozionante. Parzialmente in ombra e perfettamente conservato, ospita visitatori stremati dal sole e consente, dalle gradinate più alte, una vista panoramica su tutto il sito. E la solita riflessione arriva spontanea di fronte al panorama della città moderna, bruttissima, che sorge sull’altro lato della collina. Perché allora così tanta armonia, e oggi niente, tutto questo brutto? In questo angolo di mondo perché la storia e la politica hanno cancellato tutto il passato di civiltà e grazia?

Un secondo teatro, più grande, ospita uno spettacolo musicale per turisti. Arrivo quando è concluso e i tre musicisti armati di fisarmonica, chitarrina e percussioni, continuano a suonare per la gente del luogo, adulti durante la gita fuori porta del fine settimana che, sorridendo, ballano in cerchio, muovendosi con poesia. Scoordinati ma felici, sotto il tifo delle donne velate senza forme che battono ritmicamente le mani. Io osservo silenzioso, unico europeo nei dintorni immediati. Poi i suonatori mi chiamano. Siedono all’ombra, al lato del palco, su un paio di sgabelli, circondati da posacenere colmi e da un bicchiere che spero-spero-spero che il contenuto non mi venga mai offerto perché non potrei rifiutare e lo sconvolgimento intestinale arriverebbe, implacabile, subito dopo. Portano la kefiah rossa, come i Giordani. Io di rosso ho la mia pelle e il foulard inzuppato d’acqua, attrezzato sulla testa in maniera piratesca. La conversazione è forzatamente limitata, conosco forse cinque parole in arabo. Per di più cibo e convenevoli, shawarma e shokran, insomma. Ma quando dico Inshallah, guardando in alto, si illuminano, sorridono e mi danno energiche pacche sulle spalle. Ruffiano.

Torno al pullman, chiacchiero con l’autista che, senza alcuna difficoltà, mi racconta che in Giordania si fuma e si beve, che non tutti pregano, che il turismo è una minaccia perché fa vedere una realtà eccitante e irraggiungibile. Mi prega di non dare soldi ai bambini di Petra. I genitori li mandano ad elemosinare, impedendogli di studiare. La solita vecchia maledetta storia. La stessa gente che porta soldi è quella che rischia di distruggere, magari inconsapevolmente, il tessuto sociale e culturale di un luogo povero. E, dall’altra parte, sembra quasi che molti abitanti non vedono l’ora che questo accada, perché non pensano alla corruzione dei costumi e della morale ma a quello che la sera troveranno nel piatto. E tu lì in mezzo, come un idiota, ripensi ai tuoi studi universitari (quelli belli, antropologia, teoria dello sviluppo economico) e vedi, quanto, il più delle volte, tra teoria dello sviluppo e realtà vi sia un abisso incolmabile, dovuto al dover sbarcare il lunario.
Madaba e il ricordo della Crociate
La tappa successiva è Madaba che ospita la chiesa ortodossa di San Giorgio dentro la quale un bel mosaico composto originariamente da ben due milioni di tessere ci illustra la geografia e i posti più importanti di queste terre contese. A Madaba c’era una famosa scuola di mosaici naturalisti rinvenuti fin sulle rovine del Monte Nebo, che rappresentavano i personaggi della mitologia greco-romana, fiori, piante, animali e scene quotidiane della vita dell’uomo. Arriviamo in questa cittadina sotto un sole battente, percorrendo una via popolata di negozietti di artigianato ripetitivo e poco originale, bevendo lunghe sorsate d’acqua ogni cento metri. Il pranzo è da un kebabbaro con casse che suonano litanie arabe. Poi saliamo a un punto panoramico con beduini all’opera a proporti tappeti e anelli d’argento. Più avanti piccoli paesini di case sparpagliate che non seguono il minimo concetto urbanistico ci conducono al castello di Karak, dove Saladino decapitò Rinaldo Vattelappesca, capo dei crociati, infido condottiero e traditore di patti, e fu l’inizio del declino in terra santa per i cristiani.
Le crociate viste dagli arabi, in sostanza.

Il ribaltamento del punto di vista, la riconquista delle terre strappate dall’infedele. E i crociati visti probabilmente, per quel che erano. Un’accozzaglia di avventurieri, sponsorizzati dalla santa chiesa che, troppo litigiosi in Europa, iniziarono a depredare anche l’Oriente, con la città santa posta come scusa del saccheggio e dello stupro inevitabilmente presente in ogni guerra. Briganti sotto gli stendardi della fede. In quanti hanno detto, dopotutto, nel corso della storia “Dio è dalla nostra parte?” Quanti danni hanno recato? Che ragioni pure e nobili davvero avevano? Quanto la fede in qualunque entità può giustificare massacri e torture? E’ iniziato a quei tempi e per quell’odio l’abisso culturale che separa arabi e occidentali? Un viaggio in queste terre fa venire anche questi pensieri…
Del castello, in posizione invidiabile, resta poco. Le mura sono cadenti, crescono ciuffi d’erba ovunque, dominano i cunicoli oscuri e serve tanta, ma proprio tanta immaginazione, per vedervi catapulte, spadoni, olio bollente, trabocchetti. Stesse sensazioni le lascia il castello di Shobak dove la spada del Saladino continuava a colpire i crociati e dove riecheggiano i tempi della dinastia degli Omayyadi, la prima di regnanti islamici (661-750).

Un mare davvero morto
Man mano che la depressione si avvicina, si intuiscono, tra la foschia, le saline e, sull’altra sponda, le montagne di Israele e della Cisgiordania. Le acque verdissime scaricano sulle rive tonnellate di sale. Lungo le sponde non sembra vivere nessuno e c’è tanta sporcizia accumulata nelle poche spiagge popolari. L’umore è buono ma cambia immediatamente non appena scendo dal pullmino. Siamo scaricati in una spiaggia, neanche troppo pulita, bunker per turisti del primo mondo. Appena immersi la sensazione è quella di avere addosso un viscidume bitumoso, come fare il bagno in una pozza d’olio, insomma. La concentrazione salina è talmente elevata che è impossibile annegare qualcuno, manco fosse il tuo peggior nemico. Ogni parte del tuo corpo viene spinta verso l’alto da un’acqua salatissima, quasi insopportabile. Non si può nuotare a pancia in sotto, solo in una specie di faticosissimo dorso. Ma gli schizzi sono in agguato ed è come ricevere olio bollente in un occhio. Un tale ambiente non può ospitare nessuna forma di vita, solo sale, fanghi puzzolenti e, dicono, benefici, energia. Fino a che l’avidità dell’uomo non lo esaurirà.

Nell’albergo di metà vacanza ti lasci spalmare addosso il fango nero che porta con sé almeno quattro elementi di tristezza.
Uno: le donne che entrano in acqua sono vestite, lasciando scoperta solo una minima parte del viso. Ti chiedi sempre, ogni volta, quanto siano abituate ormai a questa costrizione, se il crescerci non te lo faccia più sentire. E se tu, se tu nascessi in questo paese, faresti qualcosa?
Due: al di fuori della recinzione, specie dal lato confinante con uno stabilimento popolare, folle di ragazzi si affacciano a guardare preziosi centimetri di pelle femminile a cui non sono abituati. Non tutte le turiste sono così rispettose dall’indossare un costume intero, ma anche chi lo è… insomma anche quello è già mostrare tanto. Alcuni scavalcano la recinzione, altri passano via mare avvicinarsi a quelli che – sigh – sono per loro sogni proibiti di adolescenti impacciati. Il fischio di un bagnino prova a scacciarli, se non ci riesce da qualche parte spunta una macchina della polizia turistica…
Tre: alle nostre spalle, una donna in burkini. Costume intero, con velo e cuffia incorporata e due strisce sportive sui fianchi. Moda all’ultimo strillo. E non so quale delle due cose mi metta addosso più tristezza.
Quattro: essere ostaggi del tutto compreso. O bevi, o mangi a un buffet che costa diciotto euro, non c’è alternativa, non c’è via di mezzo. Chi ha comprato la spiaggia, chi ne ha la concessione insomma, ci dice la guida Mohammed mentre fuma la quarantesima sigaretta quotidiana, ha voluto farne un apartheid controllato. O così o niente. E allora decido di non starci, di non contribuire.
Mi incammino con un compagno di viaggio fuori dal comprensorio ed entro in quello adiacente, dove suonano tamburi, giocano a calcetto, non c’è una faccia bianca. Compriamo patatine dal simpaticone che gestisce un chiosco che vende biscotti, snacks, bibite gelate, palloni e magliette e, mentre torniamo, annusiamo l’odore di una grigliata da un complesso di case popolari. Meglio del buffet dell’albergo, certamente. Poco oltre il Mar Morto, il punto più basso della terra, cede il posto al fiume Giordano. Passiamo accanto al sito del battesimo di Cristo e ogni centimetro della cartina stradale trasuda Vecchio e Nuovo Testamento. La Terra Promessa. Prima o poi vedrò anche i luoghi di Gesù.
(continua nel Topic “Luoghi magici” con le 2 puntate dedicate al Wadi Rum e a Petra …)
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