Una frase che spiega tutto
“Mi sentivo responsabile della bellezza del mondo” fa dire Marguerite Yourcenar nella stupenda biografia romanzata dedicata al suo imperatore esteta (“Memorie di Adriano” ed. Einaudi – 1951).
Sono tornato un’altra volta a Tivoli, dopo l’età delle inevitabili gite scolastiche che vivono un po’ tutti gli studenti di Roma e non solo, con la consapevolezza di questo sentimento, di questa ispirazione, di questo lascito morale di rara intensità e bellezza. E di questa accettazione profonda delle culture altre.

E ci sono tornato con le mie figlie che gite o non gite si meritano di percepire, di vivere questa grande bellezza anche per “merito” della mamma e del papà! E insieme a loro, perché l’educazione credo che si compia così, con degli esempi del genere.
Cercare di capire la massima filosofica di Adriano passeggiando tra le rovine della sua grande dimora e provare a immaginarsi lo stesso concetto applicato alle meraviglie acquatiche, alle siepi e ai parchi verdi della poetica Villa d’Este è stato l’obiettivo di questa lunga giornata. Si esatto, “responsabile della bellezza del mondo”, proprio un pensiero bellissimo, rivolto a ogni forma, a ogni pietra, a ogni fontana, a ogni statua, a ogni giardino, a ogni pensiero che l’uomo lascia su questa terra, in eredità ai posteri, a chi viene anche millenni dopo di lui. Una frase che svela un cuore grande e una mente unica, gigante, aperta, universale, in aggiunta probabilmente a un pizzico di giustificato egocentrismo. Una frase che vorrei educasse al gusto, al bello e all’arte la mia Martina e la mia Elisa.

Gita a Tivoli
Questa cittadina antica che si trova nella campagna romana a mezz’ora d’auto dalla capitale è la meta ideale per una giornata piena di emozioni. Te la trovi arroccata col suo centro storico sui Colli Tiburtini, sicuramente prenoterai una trattoria tipica, una di quelle sublimate da fettuccine, funghi, carne alla brace, prodotti dell’orto e un buon vino e la organizzerai proprio così la scoperta delle bellezze di Tivoli: Villa Adriana tra i prati, i ruderi e il sole la mattina, il pranzo a fare da spartiacque e poi di pomeriggio una bella camminata tra i giardini e le fontane di Villa d’Este. Scommettiamo che sarà un’altra cartolina indimenticabile da aggiungere alla tua conoscenza di Roma?
Villa Adriana
Venti anni esatti (dal 118 al 138 d.C), venti anni necessari per creare la più bella villa dell’antica Roma, la città ideale, il luogo dell’otium ricreativo e contemplativo, il rifugio per coltivare l’arte e la filosofia in mezzo a 120 ettari di campagna. E per lasciare con un’opera immortale, al mondo e alle genti, alle epoche e civiltà future, un segno preciso: che andasse oltre lo stupore e l’estetica e oltre il ricordo dei viaggi compiuti che ne influenzarono i diversi stili architettonici. Un messaggio puro e netto, che definisse al meglio quella che era la sua essenza di Imperatore.
Il posto non fu scelto a caso, nella pace del paesaggio agreste passavano vicini quattro acquedotti e scorrevano anche delle sorgenti sulfuree, le stesse che pure oggi nella parte bassa di Tivoli permettono dei rilassanti bagni termali, pratica che Adriano apprezzava molto. Inoltre vi era ricchezza di cave per materiali adatti alle costruzioni, quali il travertino e il tufo, risorse rimaste nella Tivoli moderna.

Gli ambienti
Il primo approccio con i ruderi della imponente Villa che oggi si trovano romantici e silenziosi tra prati di papaveri e margherite è col Pecile, uno spazio che testimonia la passione più grande di Adriano: quella per la cultura dell’antica Grecia.
La grande piazza voleva essere infatti una riproduzione della Stoa Agorà di Atene, un quadriportico con una enorme vasca al centro (l’unica cosa ancora visibile…), il luogo adatto a incontri, mercati e conversazioni. Poco distanti e ben conservate si distinguono le Cento Camerelle che dovevano essere le abitazioni degli schiavi, a testimonianza che il grande sogno di Adriano prevedeva attenzione e dignità per tutti, anche per gli ultimi. Là davanti i resti del luogo di culto dedicato al giovane amante Antinoo.

La parte sinistra del complesso rispetto all’entrata è quella dove si visitano gli edifici residenziali e di rappresentanza: la Sala dei Filosofi che col suo marmo rosso segnalava la potenza dell’Imperatore ed era destinato agli incontri con gli uomini politici, i ruderi, i mosaici e le poche colonne rimaste del Palazzo Imperiale ma soprattutto quel luogo intimo e favoloso che è stato chiamato il Teatro Marittimo, una sorta di buen retiro(il termine spagnolo fa onore a Adriano, nativo di Italica, vicino Siviglia), una villa nella villa, isolata dal resto del mondo da un fossato. Adriano ritirava il ponticello mobile e amava starsene lì, a studiare arte e filosofia, a meditare, a comporre musica e poesia, a fare le terme, ad amare il ragazzo greco Antinoo probabilmente.
Poco oltre l’ala delle numerose biblioteche e la Piazza d’Oro, dove esisteva un grande portico per le funzioni pubbliche. Bisogna camminare in discesa verso il prato per raggiungere l’emiciclo del Teatro Greco, situato in un posto tranquillo e in disparte dal resto, proprio come sull’altro versante la Torre di Roccabruna. Riesci facilmente ad immaginarteli gli antichi romani in tunica che camminavano su questi pendii erbosi. Riesci a vederlo quasi quello che era il padrone del mondo nella sua pace, nella sua casa.
Ritornando sul viale principale della Villa ecco altri ninfei, alloggi, caserme, giardini ed ecco le Terme, cuore pulsante di ogni residenza imperiale. Ce ne erano di piccole e grandi, le prime molto curate perché riservate agli ospiti più importanti e ai familiari dell’Imperatore, le seconde concesse come beneficio e distrazione al popolo. Come dire un privè e un ambiente di massa!

La meraviglia di Villa Adriana ti aspetta però alla fine del percorso e stavolta il motivo ispiratore, il viaggio ispiratore è l’Egitto. Mentre ci incamminiamo per la sublime vasca del Canopo rileggo sulla guida che l’architetto di Villa d’Este, Liborio, identificò questo raffinato spazio scenico con il braccio del fiume Nilo, verso il suo Delta, che collegava la cittadina di Canopo ad Alessandria d’Egitto. Adriano lo aveva visitato e gli era rimasto impresso perché in quel punto il fiume era abbellito da colonne e statue sulle sponde e il suo animo meravigliato si ricordava anche di giochi d’acqua e aree di riposo. Fu così che concepì il “suo” Canopo come il luogo dove riporre la massima estetica, facendovi sistemare copie di statue romane, greche ed egizie sui bordi della vasca, affascinanti per i loro riflessi nell’acqua, oltre a vari elementi decorativi orientali, il tutto a ricordo e ad omaggio delle culture principali dell’antichità. Alla fine della lunga vasca c’era il triclinio imperiale, il posto utilizzato per i banchetti più importanti, quelli che nel romanzo della Yourcenar sono descritti con dovizia di particolari, come le vittorie, le sconfitte, le passioni, gli amori, le debolezze, il senso della vita e della morte del grande imperatore.

Mentre osserviamo estasiati questa grande bellezza aprirsi al nostro sguardo tra alti pini, statue dalle proporzioni perfette, i raggi del sole e il venticello che muove leggera l‘acqua nella vasca quasi inorridisco al pensiero che dopo la morte dell’Imperatore-esteta la Villa cadde per vari secoli in rovina e fu addirittura utilizzata come cava per materiali da costruzione. Tivoli e direi l’Italia intera devono ancora una volta molto a Ippolito II d’Este, il cardinale che oltre a progettare la sua personale Villa rinascimentale promosse con scavi e restauri il recupero di quella di Adriano.
La luminosità di un libro
L’ultimo recupero che possiamo fare noi invece è quello di riprendere in mano il libro “Memorie di Adriano”, questa sorta di testamento spirituale che la scrittrice francese fece raccontare dall’Imperatore morente al suo successore Marco Aurelio e andarci a segnare con una matita i passi filosofici che sentiamo più vicini all’età che abbiamo. O anche rivedere dopo vent’anni quelli che avevamo segnato per scoprire come siamo cambiati, cosa ci colpisce, cosa ci emoziona o ci fa riflettere di più, perché questa opera gigantesca, pervasa di una profonda saggezza e di un delicato lirismo dopotutto ci insegna soprattutto una cosa: a vivere e a morire.
“Memorie di Adriano” fa cercare il bello, ovunque e fa accettare la fragilità e la caducità della vita. E’ a tratti un libro di una poesia sconvolgente. Ecco alcuni passaggi seguiti dalla mia matita: “Fondare biblioteche è un po’ come costruire ancora granai pubblici: ammassare riserve contro l’inverno dello spirito” – Chi ama il bello, finisce per trovarne ovunque, come un filone d’oro che scorre anche nella ganga più ignobile” – “Di saggezze ce n’è più d’una, e tutte sono necessarie al mondo; non è male che esse si avvicendino” – “Ogni uomo, nel corso della sua breve esistenza, deve scegliere eternamente tra la speranza insonne e la saggia rinuncia a ogni speranza, tra i piaceri dell’anarchia e quelli dell’ordine, tra il Titano e l’Olimpico. Scegliere tra essi, o riuscire a comporre, tra essi, l’armonia”.

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