Un viaggio nella fede, nelle città simbolo delle grandi religioni monoteiste. Un viaggio di Natale, per incontrare il proprio Dio ma anche lo splendore dell’arte e il respiro della storia a lui collegati. Un viaggio di scoperta, di riscoperta, di raccoglimento, di devozione. Una preghiera, anche solo se laica.
Un’occasione per trovare la serenità, un’esperienza forte, più forte ancora nei giorni di Natale, un pellegrinaggio per chiedere perdono, come lo fanno i cristiani, gli ebrei, i musulmani.
Ecco quindi il suggerimento di visitare Roma, Gerusalemme e purtroppo solo idealmente La Mecca, tre luoghi dove ogni pietra parla, dove lo spirito vola, dove le cupole enormi o dorate o gli alti minareti evocano ognuno a suo modo Dio, la sua unicità, la sua misericordia, la sua bontà, la sua grandezza. Ma dove non per tutti il Natale è Natale…
Città che ovviamente hanno i loro luoghi simbolo in San Pietro, nel Muro del Pianto e nella grande lastra nera dove i fedeli accorrono a pigiarsi in massa.

Il termine italiano Natale deriva dall’espressione latino-cristiana diem natalem christi, “il giorno della nascita di Cristo”, identificato da più fonti nel 25 dicembre. Gesù secondo i Vangeli di Luca e Matteo nacque a Betlemme, in una povera mangiatoia, ai tempi del regno romano di Erode. Nell’antica Roma la festa cadeva vicino alle celebrazioni del solstizio di inverno e dei saturnali, quando anche i servi ricevevano doni e cibi dai loro padroni. Da lì la tradizione di associare la festa religiosa alla grande tradizione dei regali, delle cene e delle musiche, da lì anche il fenomeno commerciale sviluppatosi nell’età moderna con tanto di aggiunta di Babbo Natale, albero di natale, renne, elfi, luci e addobbi presi in prestito dalle tradizioni tedesche e scandinave e dei pacchi a sorpresa per le persone più amate scambiati un po’ ovunque insieme agli auguri.
E dalle origini umili di Cristo ecco sorgere il mito del Presepe, il cui termine significa “recinto”, con un chiaro riferimento a quello dell’umile stalla dove nacque Gesù.. Un mito molto radicato in Italia dai tempi medievali di San Francesco in avanti e che da sempre ha un profondo legame coi doni portati dai Re Magi nella sacra grotta di Betlemme.
Per sentire l’atmosfera natalizia e cristiana in pieno si può scegliere senz’altro Roma: per partecipare alla Messa di Natale in Piazza san Pietro, ascoltare la voce del papa, ammirare il grande presepe, camminare nelle fredde e magiche notti di dicembre nelle vie e nelle piazze illuminate della Città Eterna. Per gustare i dolci e le giostre a Piazza Navona, ascoltare un concerto gospel o di musica sacra, visitare la grande bellezza dei Musei Vaticani, con le loro collezioni di pittura e scultura note in tutto il mondo.
E trovare il senso del messaggio cristiano e generoso per eccellenza nel silenzio della Cappella Sistina, col viso all’insù, a immaginare l’immensa e splendida fatica di Michelangelo Buonarroti, capace del tocco più lieve di arte e di poesia mai concepito da essere umano: la mano di Dio che indica quella dell’uomo, quel gesto di straordinaria leggerezza che lo fa nascere, muovere, creare e vivere.
E per chi non dovesse credere a Gesù il Natale e una visita a Roma a Natale sono comunque l’occasione per celebrare l’amore e l’unità della propria famiglia, la sacralità dell’essere genitori e figli, madri, padri, nonni, fratelli, sorelle, uniti dal vincolo sacro della più bella e più intima delle comunità. Rispetto ai tempi moderni, così veloci e così consumisti, così scossi da guerre e problemi, il Natale si propone anche come una pausa di riflessione, come un messaggio di bontà e come una prova di solidarietà.
Da romano mi piace molto la città in questo periodo perché se è vero che celebra come in tutto l’Occidente la corsa al regalo più bello e al banchetto più buono è anche vero che rimanere di notte sotto il Cupolone, tra le luci che si riflettono sul Tevere e la mole di Castel Sant’Angelo che anticipa di pochi metri la grandiosità della Basilica di San Pietro, è una emozione forte come poche altre e un viaggio particolare che ti porta in fondo all’anima.
Album: il Cristianesimo a Roma

La cupola di San Pietro vista dal Tevere in un tramonto romano

La creazione dell’uomo immaginata da Michelangelo nella Cappella Sistina

La famosa scala a chiocciola dei Musei Vaticani

L’abbraccio architettonico e ideale ai fedeli espresso dal meraviglioso porticato di Bernini

Le statue dei santi e degli apostoli a indicare il cielo sopra la Basilica di San Pietro

La bandiera pontificia della Città del Vaticano

La Grande Bellezza di San Pietro
Da Roma a Gerusalemme, dalla città eterna alla città santa, l’unica che tra mille tormenti e problemi ospita e riconosce le tre principali religioni monoteiste.
L’atmosfera di dicembre nel cuore storico e religioso di Israele è qualcosa di magico e di unico: le liturgie si celebrano in varie lingue, i fedeli si mischiano nelle chiese, nelle basiliche, nei templi e nelle moschee, le tensioni perenni sembrano per un attimo placarsi e un unico dio sembra sorvegliare sulla serenità portata dalla notte di Natale. Più che per addobbi, luminarie e decorazioni, più che per doni e banchetti le feste di Natale di Gerusalemme si distinguono per la loro grande intensità, per il rispetto delle tradizioni del passato, legate ai riti latini, orientali e ortodossi che qui si compiono da sempre.
Ogni religione ha il suo spazio, ogni cuore il suo anelito, ogni essere umano il suo profeta.
Per i cristiani della Città Santa le messe vengono celebrate al Santo Sepolcro, il luogo più sacro per tutti loro. La notte di Natale il rabbino capo accende il suggestivo candelabro a sei braccia e ai bambini ebrei viene donato un piccolo regalo e un bombolone fritto. Nei suk si sentono arie e profumi orientali, nelle moschee splendono i riflessi d’oro delle cupole, nelle vie armene si lavorano icone e prodotti artigianali.
E allora riponiamo da parte qualche giusta paura e almeno un Natale della nostra vita passiamola tra queste antiche pietre e piazze, sotto questi ulivi, sotto queste cupole d’oro, davanti a un Muro dove la gente si interroga, ricorda, piange, prega, perdona, chiede perdono. Almeno per un Natale seguiamo idealmente la stella cometa, arriviamo quaggiù dove tante cose e miti e riti sono cominciati, dove l’aria è tiepida e dolce spesso anche di inverno, come a scaldare gli animi di genti che in altri momenti, lungo tutti questi anni, purtroppo si sono anche odiate, combattute e uccise.
Gerusalemme sa di tradizioni, di sacralità. Gerusalemme conosce più di ogni altra città il significato della parola “preghiera”: una preghiera da queste parti a volte contesa, ma sempre ispirata, smisurata.
C’è da rimanere incantati davanti alla severa e nuda bellezza della Basilica del Santo Sepolcro, quella che la tradizione indica come il luogo della crocifissione, unzione, sepoltura e resurrezione di Gesù, o ai piedi della Cupola dorata della Roccia o a quelli della grande Moschea di Al Aqsa rivendicata da sempre dai palestinesi perché secondo loro è qui che Maometto ascese al cielo.
C’è da rimanere grati per un tour delle Antiche Mura che ti fanno passare quasi senza accorgertene da un quartiere all’altro, per un giro nelle botteghe del quartiere di Karem, nei vicoli armeni e orientali, tra gli splendori di Piazza Manger, tra i sapori del mercato di Mahane Yehuda, per una passeggiata al tramonto nel Monte degli Ulivi o per una escursione nella vicina Betlemme alla Basilica della Natività.
C’è da sentirsi in pace finalmente col mondo accettando ogni mondo, ogni fede, ogni mescolanza. Come dovrebbe essere sempre. Come potrebbe essere sempre. Seppellendo i fanatismi, le intifade, le divise militari, i soprusi, i conflitti, gli agguati, gli attentati, i carrarmati, l’odio, il filo spinato, i lanci di pietre, i lanci di razzi.
Devono rimanere solo queste di sensazioni: la bellezza della lingua e delle tradizioni e delle cupole arabe, il fascino dei luoghi, dei culti e dei cibi ebrei, il simbolo del Muro costruito a protezione del Tempio di Salomone, l’impronta di Gesù che mai lascerà questa Terra.
Album: l’ebraismo a Gerusalemme

La spianata delle moschee nel cuore di Israele

L’intimo raccoglimento davanti al Muro del Pianto

La bandiera ebrea

Il Monte degli Ulivi

Guerra e Pace

Dentro la Fede

Smisurata Preghiera
Da Gerusalemme alla Mecca, sempre più verso Oriente e verso un mondo a parte.
Situata nella parte occidentale dell’Arabia Saudita, nella polverosa regione dell’Hegiaz, tra sette aridissime colline, è una città di grattacieli e di minareti, circondata dal deserto. Soprattutto è nota per essere la Città Santa per eccellenza di tutti i musulmani poiché ritenuta la città natale del profeta Maometto. Infatti non è che si conoscano chissà quante cose di questo luogo prima della nascita dell’Islam: Makorama (poi chiamata Mecca da noi occidentali) fu governata da più tribù, fu sempre fulcro di vivaci scambi commerciali perché incrocio delle vie carovaniere, percorse da migliaia di dromedari capaci di trasportare ogni bene, ogni gioiello, ogni frutto, ogni tessuto, ogni spezia. E proprio qui si fermavano per riposarsi e per abbeverarsi bestie e uomini. E nelle pause si pregavano anche gli idoli arabi del grande deserto.
Ma dal 630 tutto cambiò, Maometto la conquistò e qui ebbe la visione dell’Arcangelo Gabriele che gli avrebbe dato il compito di diffondere il suo messaggio divino. Agli idoli delle tribù sostituì le scritture del Corano. Alla moschea della Mecca ogni musulmano deve poter arrivare almeno una volta nella vita perché questo lungo viaggio di pellegrinaggio che si chiama Haji è il quinto pilastro della religione islamica dopo quelli della testimonianza di fede, della preghiera, dell’elemosina legale e del digiuno nel mese di Ramadan. Ma proprio questo è il punto: questo viaggio è un NON-viaggio, perché solo i musulmani possono entrare in città, nella moschea e nel sacro cortile attraverso le 24 porte a celebrare la grande lastra nera, la misteriosa Kaba, (“il Cubo” in arabo) che Maometto identificò col Tempio di Abramo.
La fede nell’Islam è basata sicuramente su un grande ardore. Quasi due miliardi di persone nel mondo credono nell’Islam e pregano cinque volte al giorno in direzione della Mecca. Si inginocchiano verso la Mecca i marocchini, gli egiziani, i siriani, gli indonesiani. Ogni anno in questa città sacra arriva in pellegrinaggio almeno un milione e mezzo di fedeli che prima sacrificano un animale e poi cercano la purificazione con sette giri intorno all’altare.
Ma per la spinta provocata dall’emozione di toccare il tempio, per qualche incauta caduta, mossa o malinteso, per i 50 gradi che spesso soffocano l’aria della città e provocano degli svenimenti, ogni tanto ecco la tragedia: tuniche bianche più deboli o sfortunate delle altre che restano a terra, schiacciate, calpestate. La morte più desiderata forse, ma pur sempre la morte. Sotto questa pietra angolare della fede, questo masso di granito nero, alto 14 metri, largo 10 e lungo 12. Il cui angolo nord si chiama Iraq, quello a ovest Siria, quello a sud Yemen, in omaggio ai tre paesi fratelli a maggioranza musulmana.
E l’angolo ad est contiene la sacra pietra nera che i pellegrini nella calca, nel sudore, nel calore, nel delirio e nell’estasi vogliono assolutamente baciare. Rischiando a volte la vita, come durante il sentitissimo rito della lapidazione del diavolo, come avvenuto una volta in un tunnel o in un’altra tragica occasione per la caduta di una pesante gru.
Una curiosità infine: dentro la Kaba non c’è niente di particolare. Qualche tenda, qualche antica colonna, qualche testo sacro. Anche per il Corano essa è semplicemente il punto focale da cui tutto parte e dove quindi rivolgersi. Il pellegrino che esce dalla Mecca, dal viaggio a cui spesso si dedicano i risparmi di una vita intera, ne dovrebbe uscire con una vita migliore e devota.
Spiace notare ma forse è doveroso accettare che la Mecca sia al contrario di Roma e di Gerusalemme il luogo del NON-Natale, perché in Arabia Saudita il Natale non si può celebrare con candele, addobbi, luci, feste, doni, alberi, lo si può fare solo in modo prudente e privato, privatissimo, barricati in casa e senza condividerlo con nessuno. E’ vietato anche solo dire Buon Natale, o farsi gli auguri per strada o al telefono. Si rischia la spiata, la persecuzione, la prigione… La tradizione cristiana non viene per nulla accettata, è anzi osteggiata e ritenuta complice di una chiesa non riconosciuta.
Che lo spirito del Natale allora arrivi lieve e sereno anche qui, a unire tutti gli uomini e tutte le fedi del mondo.
Album: l’Islam alla Mecca

L’incredibile folla in giro intorno al sacro monolito saudita

Un’adorazione senza uguali che spesso sconfina in clamorosi incidenti

Panorama della Mecca tra grattacieli e deserto

Preghiera al calare del sole

Luci della più sacra città araba

Una pagina del Corano

Moltitudine e Solitudine

Le gru intorno alla Kaba: la Mecca continua a crescere
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