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Cultura da Viaggio

Cercando l’onda perfetta – seconda parte

La cultura del surf

Esistono dei grandi film e dei libri davvero ispirati che sanno raccontare in modo sublime, tra fotografia e filosofia, il mondo delle onde e del surf, quelle due cose che si uniscono quasi a rappresentare un rito liberatorio, di iniziazione, un inno all’amicizia, alla gioventù che scappa e che va celebrata sfidando appunto il mare e il vento.

Point Break di Kathryn Bigelow risale al 1991
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Il punto di rottura

Point Break di Kathryn Bigelow risale al 1991 ed è restato nell’immaginario collettivo come uno dei più bei film dedicati al surf e ai surfisti, le cui evoluzioni sulle onde, la filosofia della sfida e il brivido dell’avventura si mescolano a una storia di rapine, amori e rivalità sulle coste di Los Angeles.
Il plot scorre emozionante e veloce, aiutato dal montaggio frenetico, dalle riprese in soggettiva, dalla colonna sonora metal e rock ma le scene e le parole più belle riguardano il rapporto col mare, quel lato spirituale del mare che si coglie solo aspettando un’onda, sentendo la sua energia, cavalcandola, riuscendo a riemergere da essa. L’onda nel film è anche l’evidente metafora esistenzialista di una vita border line, tra legge e crimine, colpa e etica, vittoria e sconfitta. Un punto di contatto e di confine tra il bene e il male, tra il mondo chiaro e al sole e quello caotico delle correnti e degli abissi.

Adrenalina pura

Nel remake di Point Break il mito del surf è stato affiancato da quello di altri sport adrenalinici ed estremi come lo spettacolare volo in wingsuit, il motocross, il paracadutismo, lo snowboard e il free climbing. Risultati e tensioni spettacolari, senz’altro, e come nel film originale non si quasi per chi tifare perché se i cattivi sono com’è chiaro i cattivi, essi portano con sé anche una visione ambientalista e una morale anticapitalista che li rendono allo stesso momento folli, simpatici e seducenti. Come non ricordare ad esempio la frase di Swayze-Bodhi: “Siamo la banda degli ex presidenti. Vi chiediamo solo pochi minuti. Vi stiamo fottendo da anni, qualche secondo in più non dovrebbe far differenza” pronunciata dal rapinatore mascherato da Reagan? Oppure certi pensieri come “L’Oceano ci ricorda quanto siamo veramente piccoli” o dei dialoghi come “Quello è Bodhi. E’ il diminutivo di Bodhisattva. E’ una specie di selvaggio, un vero cercatore.” – “E cosa sta cercando?” – “L’onda. L’onda perfetta.”

(per rivedere un dialogo-chiave di Point Break)

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(per ammirare la sfida adrenalinica alle onde)

Il grande giorno

“Ci passeranno tutta la vita su questa tavola”: così un bambino descrive i giovani belli, biondi e forti ritratti nel film “The Big Wednesday” di John Milius. Tre amicizie ma anche tre solitudini, perché ogni surfista è solo a un certo punto della sua azione, del suo sport, della sua impresa, solo col mare, con la spiaggia e col vento. Solo davanti alla forza delle onde e sempre in attesa dell’onda perfetta, della mitica mareggiata dove annullarsi o rinascere, rimanere in equilibrio o annegare. L’Oceano nel cult movie del 1978 rappresenta qualcosa di sacro come l’esistenza: sono flutti placidi a volte, furiosi altre e l’atleta resta in trepida attesa di ciò che lo salverà o che lo cambierà. Coi suoi sogni, i suoi amici, provando a dimenticare i mali del mondo, le guerre sullo sfondo, come quella atroce del Vietnam. Restando sempre puro e libero, sulla sua tavola.

Rewind

Rivedere il film fa pensare a quei rapporti di amicizia, di gioco, di sport e di sfida molto tipici dei ragazzi, soprattutto dei maschi: crescendo commuove di più perché si ripensa alla vita che è passata e agli stessi rapporti che magari si sono impigriti, ingrigiti o sfilacciati per “colpa” del destino, del lavoro, delle distanze, delle nuove famiglie e delle nuove responsabilità.
A me sono tornati in mente gli amici di una volta, le squadre di calcio in cui ho giocato, i viaggi in macchina per l’Europa. Tutte fasi, tutte onde. Come quelle mitiche che hanno colpito la California di quegli anni. Come la mareggiata di quel mercoledì dalla bellezza struggente e indimenticabile. “Qui la giovinezza è tutto” si diceva su quelle spiagge di Malibù, quando per Matt, Jack e Leroy e tanti ragazzi come loro il surf era amato e sentito più di qualsiasi altro sport, perché significava un confronto con la natura, una filosofia di libertà, una ricerca di identità.

immagini iconiche del film “Un mercoledì da leoni”
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immagini iconiche del film “Un mercoledì da leoni”
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Ecco due immagini iconiche del film “Un mercoledì da leoni”

(per rivedere le grandi mareggiate del film)

Da ricordare anche l’emozionante documentario”The Endless Summer.”, uscito nel 1966 e diretto da Bruce Brown che racconta del viaggio intorno al mondo di due surfisti, Mike Hynson e Robert August che “convertono” il pianeta a questo magnifico sport cercando dall’Australia all’Africa spiagge sempre nuove e selvagge dove surfare liberi.

Giorni selvaggi

Un romanzo ambientato tra la dorata California e le splendide isole Hawaii e le successive peregrinazioni tra l’Oceano Pacifico delle Fiji e del Perù, il Madagascar e il Sudafrica ancora diviso in conflitti e ghetti. Un road movie letterario che più di altri apre una finestra personale, emozionale e a tratti spirituale sul mondo del surf: stiamo parlando del libro scritto da William Finnegan nel 2015, Premio Pulitzer 2016, che si chiama “Barbarian Days – A surfing life”.
Scorrendo le pagine impari che le onde segnano la vita di ragazzi che sembrano sospesi tra la voglia di sfidarle, guardarle da soli nell’immensità del mare e sparirci per sempre come in una comunione estrema col mondo naturale dei flutti. Il surf è una specie di devozione e di ossessione, di ricerca dell’assoluto, dove contano alcuni codici tribali, alcuni riti, le sfide tra gang, le gare fatte sulle coste di casa di Los Angeles o ad Honolulu su spiagge farinose e acque tiepide e sotto effetto degli acidi.
Al surf sono legate le emozioni sotto la pelle, le grandi amicizie, la presa di coscienza di tante realtà e tanti problemi e insieme l’odore del mare, la brezza del vento, l’attesa spesso in trance psichedelica dell’onda. Il mondo d’acqua del surf è inoltre una difesa di azzurro e di puro da quello che il reporter di guerra Finnegan aveva imparato a conoscere col suo mestiere prima di colmarsi e rifugiarsi dell’energia delle Hawaii nei suoi ritorni a casa.

le splendide isole Hawaii e le successive peregrinazioni tra l’Oceano Pacifico delle Fiji e del Perù
colmarsi e rifugiarsi dell’energia delle Hawaii

Surf-ilosophy

Tanti i passaggi filosofici: “Chiusi gli occhi. Mi sembrava di sentire su di me tutto il peso dei mondi senza mappe, delle lingue non ancora nate. Ecco quello che stavo cercando: non l’esotismo, ma la comprensione assoluta della realtà così com’è”. Oppure: “In mare, ogni cosa è legata in modo indissolubile e inquietante a tutte le altre. Le onde sono il campo da gioco. Il fine ultimo. Sono l’oggetto dei tuoi desideri e della tua ammirazione più profonda. Allo stesso tempo, sono anche il tuo avversario, la tua nemesi, il tuo nemico mortale. L’onda è il rifugio, il tuo nascondiglio felice, ma anche un territorio selvaggio e ostile, una realtà indifferente e dinamica. L’oceano per me era simile a un Dio insensibile, infinito nella sua pericolosità, dotato di un potere smisurato” . Con una consapevolezza: “Nel surf c’era sempre questo orizzonte, questa linea del terrore, che lo rendeva diverso da qualsiasi altro sport, di sicuro da quelli che conoscevo io. Potevi anche praticarlo insieme agli amici, ma quando arrivavano le onde grosse, o ti trovavi nei guai fino al collo, sembrava che non ci fosse mai nessuno lì a darti una mano”.

Mi è piaciuta molto la critica letteraria di Giovanni Bonaldi apparsa su “The Rolling Stones”: “Questo memoir parla soprattutto di onde. Come si curvano, spingono i corpi, cambiano odore e colore da un luogo a un altro del mondo, dove nascono, come muoiono. Un po’ come per i fiocchi di neve, non ne esistono due uguali. Sopra queste onde galleggia un uomo, in compagnia della sua fidata tavola. La sua vita è stata modellata da queste onde. Un po’ brutalmente, Giorni selvaggi si può riassumere così”…
“Forse il surf è soltanto un modo (più cool di altri) per provare sulla pelle il brivido della libertà. Ma Giorni selvaggi ci lascia con una piccola certezza: a volte, il modo migliore per capire il mondo è proprio quello di perdere tempo”.

Non ci resta che provare a compiere una parte di questo viaggio. Di piena libertà o di grande incoscienza, fate voi. Su una tavola da surf, ovvio.

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