Effetto Paros
Ci ho pensato a lungo sul ponte del traghetto, nel viaggio di ritorno verso Mykonos, con la sagoma di Parikia sempre più lontana, puntino bianco destinato a sparire nel cuore dell’Egeo ma a rimanere ben impresso nella memoria della mia famiglia. Ci ho pensato con la faccia grata a quel sole e a quel vento, a tutta quella purezza vissuta.
Avevamo altre “greciate” alle spalle (si, con mia moglie le chiamiamo proprio così, le “greciate”, quella voglia inconfondibile di isole greche, due o tre ad estate, che al massimo ogni tre anni vogliamo sentirci sulla pelle), sia da soli che con le figlie piccole, ma questa vacanza a Paros è stata probabilmente quella della consapevolezza definitiva, quella dell’amore scoppiato una volta per tutte, con oggetto i colori e le sensazioni che solo le Cicladi più belle sanno regalarti.

L’amore per la luce, per un paesaggio semplice, per una barca, per una cupola azzurra, per un polpo appena pescato, per una nuotata che ti fa rinascere, per quei cubetti bianchi e quei riflessi blu che sanno di riparo, di scoperta e di felicità.
E a Paros è stato evidente che anche due bambine riescono a cogliere l’anima di un tale paesaggio e di un tale messaggio. Perché senza preparazione (“andiamo là, poi vedrete che posto è…”), senza troppe sovrastrutture tipiche dei depliànts (il villaggio turistico, la settimana all inclusive, ogni pasto, ogni tour o ogni divertimento organizzato), solo con l’accenno fatto alle piccole di un mare favoloso e di una storia millenaria, di un mondo lontano dove sono iniziate tante cose, il rapporto con gli dèi, coi dubbi e con la filosofia, l’emozione può diventare anche per loro travolgente come un’onda.

L’educazione naturale
La Grecia, soprattutto le isole greche, per me sono state sempre questo. Una specie di richiamo, di luogo naturale, adatto alla vita naturale, all’educazione naturale.
Un altrove davvero semplice, che basta a sè stesso, dove si mescolano magicamente alcuni ingredienti come la poesia, le spiagge, i villaggi, le chiese, gli orti, la calma, il senso dell’uomo, del mare e del tempo.
E se Martina ed Elisa ora che hanno dieci e otto anni rimanessero a vivere qui che ragazze e che donne diventerebbero?


Da figlie di Paros subirebbero ugualmente le inevitabili mode, i cellulari, i video giochi, i social network, i fast food, il traffico, la competizione… oppure gli basterebbe guardare un mulino, un tramonto, il ritorno di un pescatore e come i pomodori, le olive, la feta e l’origano colorano un piatto?
Cercherebbero di più i vestiti, le macchine, le feste, quello strano e vasto concetto che chiamiamo progresso o sarebbe per loro sufficiente una serata nella piazza del paesino sotto il platano a sentire i racconti delle nonne? Proverebbero sentimenti quali la noia e l’invidia o sarebbero figlie libere del mare, della luce e del vento, più generose e altruiste, più innocenti perché incontaminate?

Preferirebbero comprare, avere o piuttosto essere e desiderare e sentirsi in armonia con la natura? Preferirebbero il successo più luminoso o una realizzazione di sogni e di piani più semplici? Crederebbero nella stessa scala di valori che se crescessero nella loro grande città?
Intendiamoci non sono un seguace di Rousseau e non cedo facilmente alle utopie ma il fascino di un ultimo mito del “buon selvaggio” che nasce nel cuore del Mediterraneo lo sento eccome. Sono sicuro che una vita per loro a Paros non sarebbe meno bella di quella che le aspetta in qualche metropoli dell’Europa più avanzata, più veloce, più industriale, più vorace. Per quello che sto provando io adesso, da papà diciamo più consapevole e maturo, non ritengo che la modernità, la fretta, la ricchezza, siano così superiori alla natura, alla lentezza, ai rapporti umani.
Davvero una carriera viene prima di tutto? Non ci si può misurare nel mondo pure in mezzo all’Egeo, proprio dove è nata la civiltà occidentale? Non si può tentare un’apertura di ali diversa?


La scuola di Parikia

Mentre ho già deciso per loro, perché il ritorno è più comodo, perché i legami e le convenzioni in fondo contano, mentre un po’ invidio quelli che invece hanno lasciato cadere il quadro di una vita perfetta e l’hanno con coraggio e con amore reinventata, mi immagino le mie bambine trascorrere gli anni scolastici nel capoluogo dell’isola, uscire da casa al rintocco della campana, camminare verso il porto, imboccare i vicoli bianchi accesi dalle bouganvilles, fermarsi a salutare gli amici come i vecchi, passare la giornata e la giovinezza in questo posto bellissimo. Dove magari sarebbe più facile capire Eraclito o Platone al liceo, imparare tutti i nomi dei pesci e dei venti o i sillogismi aristotelici, proprio qui, alla scuola della natura, alla scuola del Mar Egeo.
Verrebbe l’età degli amori, di un lavoro, chissà se una taverna per turisti, chissà se uno studio di architettura davanti al mare oppure chissà cos’altro. La scuola di Parikia non smetterebbe mai di insegnargli lezioni vere, genuine, avrebbero forse meno occasioni dei coetanei di conoscere il mondo ma questo piccolo mondo conterrebbe altri tesori, capolavori di umanità e solidarietà credo. Si d’accordo, il loro aperitivo sarebbe sotto un mulino abbandonato e non in un locale con le luci al neon, nel vedere le comitive di ragazzi italiani in vacanza si ricorderebbero frammenti della vita precedente e forse gli mancherebbe pure, ma intanto questa fantastica isola di Paros le avrebbe conquistate per sempre. E con pochi, immutabili elementi: i vicoli bianchi e fioriti, le campane e le campagne, le botteghe artigiane, le barche da pesca, le feste tipiche nei villaggi, le passeggiate a dorso di mulo, per andare a guardare le cupole più azzurre e per arrivare là dove l’isola finisce.

L’estate di Naoussa

Nei mesi da giugno a settembre Martina ed Elisa avrebbero scelto probabilmente di trasferirsi a Naoussa, il secondo villaggio dell’isola, quello più raccolto e poetico, quello a maggiore vocazione turistica, così bello da sembrare disegnato. Naoussa le aveva già colpite prima della vacanza, anche per quel film simpatico girato proprio tra le sue piazzette bianche e le bellissime baie, “Immaturi, il viaggio”.


Alzarsi ogni mattina baciata dal sole e scendere con una corsa allegra dagli studios panoramici scelti per il soggiorno più bello che si possa fare a Paros giù al mare, scegliere nel porticciolo il taxi boat più colorato, mettersi un po’ per scherzo al timone grazie alla gentilezza del barbuto marinaio greco, scegliere una rotta, cambiarla il giorno dopo: una volta la spiaggia più solitaria e selvaggia, quella dove ci sono solo venti ulivi e quattro tavoli con la tovaglia a quadretti di una taverna squisita; la volta dopo la spiaggia più giovanile e musicale, una di quelle dove cominci a ballare in mezzo al pomeriggio tenendo in mano un ouzo ghiacciato; una terza escursione al promontorio dove sorge una delle chiesette più poetiche che ho visto nel Mediterraneo, con le mura di un bianco accecante e col paesino che si staglia sul fondo della scena, sul braccio di mare opposto, come una meravigliosa quinta teatrale.

A Naoussa le mie figlie avrebbero giocato per anni in riva al mare, avrebbero riso tutte le estati della loro vita, e sento che forse nella loro vita ci torneranno, dopo tanti altri viaggi ed esperienze, perché secondo me là gli è rimasto un pezzetto di cuore.
Nelle due settimane trascorse a Paros le sere più belle sono state proprio quelle di Naoussa, dopo i giri avventurosi in macchina o in barca, dopo aver visto le spiagge ventose e i locali scatenati della costa est o i surfisti prendere il largo alla punta sud, dopo la scoperta di Lefkes, il villaggio artigianale e contadino situato all’interno dell’isola, un altro luogo spettacolare, con la chiesa gialla, i bambini a correre felici per le strade, i ristoranti sotto le pergole, il sirtaki a comporre una colonna sonora indimenticabile.

Però è a Naoussa che abbiamo capito definitivamente che Paros era diventata casa nostra, una casa in un altro paese, in un altro mare. Da custodire come uno dei ricordi più belli di sempre.
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