I due mondi di Karpathos
L’isola che chiude l’arco del Dodecanneso tra Rodi e Creta sembra divisa in due mondi, col sud di belle marine, spiagge e paesini che vivono da una decina d’anni una piccola febbre turistica e col nord isolato e selvaggio che vive sospeso quasi in un altro tempo e di sicuro in un altro orizzonte. L’esperienza magica che si può fare a Karpathos è quella di viverli questi due mondi e di guardare, una volta tanto, il mare dal cielo perché l’avventurosa strada panoramica che collega il capoluogo al villaggio di Olympos sale così in alto che si arriva a respirare l’aria fresca all’ombra dei pini e a riconoscere appena i riccioli bianchi delle onde o le cupole rosse delle chiesette sulle spiagge. Che restano in fondo, lontanissime.
Volendo lo stesso tragitto si può compiere in un modo molto più facile, con una mezz’ora di nave, da Pigadia a Diafani, il porticciolo del versante nord dell’isola. E da qui salire a bordo di una sgangherata corriera col sirtaki che esce dall’altoparlante e dopo dieci tornanti polverosi toccare le prime case di Olympos. Ma non c’è paragone: va fatta la strada, che passa per boschi profumati, burroni profondi, scorci di drammatica bellezza, resti di frane, mulini abbandonati, visioni immense di blu e per percorrerla tutta e sinuosa, 42 km appena che sanno di epico se affrontati col motorino, ci vogliono tre lunghe ore, cadute sullo sterrato ovviamente comprese.

Pigadia, per ambientarsi
In genere prima di vivere l’avventura ci si ambienta qualche giorno sulla bella isola, un’isola facile da cogliere, da capire: la costa est è quelle delle spiagge turistiche, della dolce vita da albergo o villaggio; la costa ovest è quella più aperta e ventosa, patria dei surfisti e dei giovani di tutta Europa che preferiscono gli studios o addirittura le tende buttate in riva al mare, tra i falò e le casse di birra.
Un paio di sere si passano volentieri al capoluogo di Pigadia dove ci sono un paio di Kafeniòn vivaci, i ristoranti vista molo, qualche chiesetta che guarda l’Egeo. E dove gli abitanti del luogo si danno convegno per suonare il liuto e danzare e dove i turisti sono benvenuti soprattutto quando offrono una birra o un ouzo ai suonatori. L’atmosfera non è scenografica come nelle Cicladi ma è comunque molto autentica e durante i brindisi nelle taverne i vecchi del luogo usano parole del fascio (“all’attacco”, “saluto romanamente”) che risalgono ai tempi dell’occupazione italiana di Scarpanto.
A Pigadia più che le pause per le foto perdi tempo a ciondolare, a scegliere il pesce o il polpo arrosto per la sera, a ragionare sulle palazzine piuttosto anonime costruite come sogno di grandezza dagli emigrati tornati sull’isola a godersi la pensione: a ogni ritorno di parenti, anno dopo anno, tante case si alzano di un piano, segno delle fortune fatte magari in America e seminate qui. La vera scoperta di Pigadia allora è un’altra, sono le vetrine delle gioiellerie, sgargianti di anelli e collane monumentali, monili preziosi e medaglie d’oro grandi come quadri da parete.

I paesini più tipici di Karpathos
Nelle vicinanze del capoluogo il bagno migliore si fa tra le tartarughe nell’acqua turchese di Kira Panagia sorvegliata da una chiesa bianca con la cupola rossa che è una delle vedute più belle di Karpathos. O ad Apella o ad Amopi che è un posto rotondo e sabbioso come un atollo, ideale per le giornate dei bambini. La spiaggia di Amopi, da apprezzare con un pranzo a base di sardine e retsina in qualche taverna, è così dorata che si chiama Golden Beach.


Sulle colline intorno ecco la sfilza dei paesini più tipici vicini al capoluogo: Menetes, Aperi, Arkassa sono una cascata di cubi colorati e chiesette bizantine spalancati sull’abisso di forre e gole. Il museo etnografico di Othos, con la sua preziosa raccolta di reperti e usanze locali, è stato aperto coi risparmi di una vita da una coppia di centenari tornati dall’America a morire tra queste montagne. A Finiki si godono le atmosfere del borgo di pescatori e a Piles probabilmente i tramonti più belli.

La strada in cielo
L’ambientamento è finito, ora tocca all’avventura sulla strada alta.
Bisogna sentirsi in forze, aver bevuto poco ouzo la sera prima. Bisogna affittare un motorino decente, fare il pieno a Pigadia e se possibile scegliere un giorno poco ventoso. Bisogna seguire l’istinto o l’azzurro che emoziona di più per decidere quando lasciare la strada e andare giù fino alle baie più belle. E bisogna aver letto o visto prima almeno qualcosa di Olympos perché il viaggio va vissuto come un pellegrinaggio, come una rivelazione e insieme come un ritorno al passato.
La mitica Olympos, un nido d’aquila nascosto tra i monti, “vale tutto l’oro del mondo” come dicono i cinquecento contadini rimasti a vivere qui, suscitando le gelosie dei “cittadini” di Pigadia che in alcuni casi addirittura sconsigliano i turisti di recarsi in questo paese remoto. La vera esperienza è parcheggiare il motorino prima dell’ultima curva e avvicinarsi a Olympos a piedi, con uno zaino, ignorando ogni tipo di comodità, magari scegliendo apposta l’ora più calda, per godersi l’incredibile sequenza di apparizioni e sparizioni delle sue casette colorate e dei suoi mulini a vento che emergono dalle montagne. Teatrale, drammaticamente scenica, tra le nuvole, colpisce al cuore.

Il paesino che venne fondato nel 1420 da una colonia di abitanti fuggiti dalla costa per evitare gli assalti degli islamici ed è rimasto per secoli nel più completo isolamento, rappresenta oggi coi suoi sgargianti costumi e monili, con le sue feste e processioni, con il suo culto dei morti e col pane cotto nei forni collettivi, coi suoi abitanti che parlano un dialetto dorico dei tempi di Omero e che sembrano essere gli attori di una rappresentazione sacra, una delle comunità più antiche e tradizionali dell’intera Grecia.
Ritorno a Olympos
Per me è stata una grandissima emozione rivedere Olympos a 25 anni di distanza: parecchi turisti e parecchi negozietti in più si notano, è vero, tanto che il “corso” centrale sembra un bazar di merletti, acquerelli, delle taverne hanno ormai i menu plastificati in quattro lingue, va confessato, ma dopo la prima volta che fu qualcosa di estraniante e severo, un’icona del puro e dell’assoluto, la sensazione colta è che tante cose siano ancora le stesse, genuine e uniche: la terrazza sotto la chiesa piena di bouganvilles, le pale rotte dei mulini che sibilano al vento e le sagome dei mulini che fanno da guardiani tra le rocce, i vecchi curvi nelle strade, le pentole piene di stufati, spiedini, peperoni, melanzane, pasticci, le notti illuminate solo dalla luna, le musiche spontanee. Il consiglio è quello di lasciar partire le ultime corriere dei turisti, quelli che riprenderanno la barca Diafani-Pigadia, e prenotare una pensioncina almeno una notte per godersi se si è fortunati i fuochi e i balli e i canti bizantini delle feste, gli arrosti di capretto, i tramonti sull’abisso e quel mare aperto e infinito che ruggisce lontano.

Nel mio primo viaggio imparai che ogni primogenita di Olympos custodisce in casa un enorme monile dorato che è la sua dote e che lo indossa come collana nelle feste di nozze o nelle feste patronali. Non sono mai riuscito a venirci per Pasqua, la festa solenne, la più colorata, la più sentita. Stavolta invece ho partecipato alla processione di San Giovanni a Ferragosto che si celebra in una cappella allestita in una grotta sul mare nella vicina Vrukunda raggiungibile a piedi in mezzo a un paesaggio scabro e solenne. Bellissimo. “Una faccia, una razza” lo puoi dire davvero in mezzo a questa gente.
Trasparente come Diafani
Dal cielo più vicino di Olympos si scende poi a caso nelle spiagge deserte del nord: ci staresti dei giorni in barca, a nuotare, a vivere di pesca, di feta e di olive oppure a passare delle vacanze di mare a Diafani. Il porto di Olympos in greco significa “trasparente” ed è un vero omaggio alle acque cristalline del luogo che accoglie incantati i turisti con la sua fila di casette colorate e semplici trattorie dove si gustano le cicale di mare, il pane cotto in casa, insalate di erbe aromatiche, capretti o pesci arrosto e ottime limonate fresche. Va guardata con ammirazione quella cameriera greca che ti porta una semplice limonata in riva al mare: ha portamento e grazia, una bellezza classica. Oltre Diafani resta solo il silenzio, la bellissima e solitaria spiaggia di Vananda e il paradiso turchese di Tristomo.

La promessa

Peccato che è giunto il tempo di tornare nella Karpathos “civilizzata”, quella dove atterrano sempre più charter italiani e scandinavi, quella dove le notti a soli 40 km di distanza vivono di altre mode, di altri suoni. Nei giorni centrali di agosto tutta l’isola è invasa dagli emigrati negli Usa (alcuni ritornano via nave per sfoggiare le loro macchine targate Chicago, Baltimora e New Jersey!) che una volta in patria oltre ad alzare le case spendono cifre colossali per feste, mangiate, voti religiosi, commercio di gioielli, acquisto di ristoranti e di ville dove verranno a passare gli ultimi anni della loro vita.
Prometto che la prossima volta tornerò per Pasqua, mi raccontano che a Karpathos significa odore di incenso per ogni paese, migliaia di agnelli sacrificati per i banchetti, tavolate infinite, musiche fino alla notte e sfilate folkloristiche di meravigliosi costumi e icone bizantine. E magari risalirò a parlare con le mie figlie sulla vetta della montagna di Kali Limni, alta ben 1215 metri a dominare ogni valle, ogni paese e le spiagge più azzurre e lontane. Lì si può trovare un senso alle cose, lì trovare un paio d’ore di tempo per trasmettere un messaggio importante a un figlio potrebbe essere un’esperienza meravigliosa.

Non ci sono Commenti