Al centro delle Cicladi
E se davvero ci piantassero in Nasso? Come Teseo che lasciò su queste sponde Arianna dopo che lo aveva aiutato a sconfiggere il Minotauro? E che col suo gesto diede origine a quel modo di dire che fu poi trasformato nel motto “piantare in asso”?
Sarebbe poi una cosa temibile trascorrere la propria vita in un’isola del genere, al centro delle Cicladi, l’ideale capitale geografica del favoloso cerchio di isolotti sparsi nel profondo blu dell’Egeo?
Non andremmo anche noi riconoscenti, ogni tanto, col nostro amore o per la nostra ispirazione, ad aprire o a chiudere le giornate sotto l’Arco di Apollo che incornicia Naxos in un panorama da cartolina quando la luce regala sfumature meravigliose alla scena? Ad accarezzarlo quasi quell’Arco che rappresenta un ideale abbraccio del mare, della grecità, della cultura ellenica, del vuoto metafisico ma anche di un passato mitologico che sentiamo anche noi sotto la pelle?

Apollo, Venezia, la pesca e la frutta
Il bellissimo tempio del capoluogo di Naxos mi stampò nella mente fin dal mio primo viaggio nell’isola le parole dello studioso e archeologo Winkelmann: “nobile semplicità e quieta grandezza”, la frase più felice che conosco per descrivere l’ideale di bellezza, natura e armonia greca.
Costruito in onore del dio nel Vi sec a.C sull’isoletta di Palatia che oggi è collegata da una striscia di terra alla graziosa cittadina il tempio guarda da poco lontano l’altro retaggio storico più importante di Naxos, quel castello veneziano che spicca in alto sulla Chora e su un labirinto di vicoli imbiancati a calce, a memoria dell’Imperio marittimo della Serenissima che in questo mare durò per tre secoli e del suo duca Marco Sanudo.

Lasciata la Chora si procede verso il porto perché e sempre uno spettacolo vedere il pesce calato dalle reti e dalle barche: le rughe dei pescatori, le mani coi segni della fatica, i colori delle nasse e delle boe, la gioia di quando esce il dentice gigante, l’aragosta golosa che sarà venduta al miglior ristorante, i polpi che poco dopo saranno sistemati sui fili o sulle seggiole in riva al mare.
Oppure si sceglie la via verso l’interno, verso Galanado e Filoti, tra cupole di chiese, torri difensive e i terreni più fertili dell’isola che per secoli e secoli hanno permesso di esportare la frutta e la verdura di Naxos in tutto lo sterminato Mar Egeo.

Quel ricordo di Apirathos
C’è stata un’epoca nella mia giovinezza (che non è passata poi da tanto eh!) in cui mi imbarcavo spesso per la Grecia e coi pretesti più assurdi. Vedere quante isole raggiungevo in un mese dal Pireo. Sentire più mie le Cicladi, le Ioniche o le Sporadi. Chiudere l’arco dell’ultima rotta in fondo al Dodecanneso. Conoscere i giovani provenienti da tutta Europa in una sorta di campo ecologico soft, una volta a pulire una spiaggia, un’altra a restaurare una chiesetta bianca sul mare, un’altra ancora a costruire una pista ciclabile sul greto di un fiumiciattolo in mezzo a un paesaggio quasi montano. Ecco, questa ultima esperienza mi è toccata viverla ad Apirathos, un villaggio rurale al centro esatto di Naxos, dove la gente va in mare e in barca quasi per sbaglio, piuttosto scuote gli ulivi, alleva le capre, prende la via del monte, mette a seccare i pomodori, suona le musiche locali di generazione in generazione.

Era un luglio bollente, neanche tanto mitigato dal famoso venticello del meltemi che in genere rende più lieve la vita sulle coste delle Cicladi, su un cocuzzolo posto più in alto di tutto. In alto ai campi coltivati, alle campane suonate dal pope, all’orizzonte azzurro appena percettibile di Moutsouna.
Un paese abitato da una comunità locale molto unita che nelle notti di danza e di agnelli allo spiedo dà il meglio, innaffiando con litri di retsina le nostalgie. Quelle del mare anche.
Apirathos è lontana anni luce dalla vita mondana di Mykonos, di Santorini, figuriamoci dal caos di Atene. La luce stessa spesso se ne va, passano più muli di macchine, più contadini che impiegati, più vecchi che bambini. Apirathos ha un cuore autentico però e quando la gente del luogo vede che arrivi da Roma, da Barcellona, da Berlino o da Stoccolma per lavorare a un progetto ecologico locale ti reputa fratello o sorella per sempre. Ti dona tutto, dalle moussaka di melanzane più buone assaggiate in vita mia, al disco inciso nelle notti d’inverno con la band locale. E piange, silenziosamente piange quando te ne vai.

Se una volta a Naxos vi arrampicherete quassù probabilmente non troverete niente di eccitante o di indimenticabile, tutt’al più qualche chiesetta bianca persa tra i monti rocciosi, qualche resto di mulino, qualche torre difensiva in stile veneziano erta contro le scorrerie dei pirati, qualche campo coltivato a ulivi, a mandorli e fichi, canestri di peperoni e cetrioli destinati a condire insalate greche con cipolla, origano e feta, qualche notte di musica o di braci genuine. E quella pista ciclabile scavata su un letto asciutto di un torrente con fatica e allegria da venti giovani venti anni fa, che ditemi se le erbacce l’hanno salvata! Però magari il paesino vi piacerà, vi toccherà una corda dell’anima come è successo a me, vi farà indugiare nelle sue cantine, nelle sue piazzette. Vi farà sbirciare le isolette di fronte che compaiono e scompaiono tra le nuvole. Vi farà voglia di andare a scoprire il mare alla fine della strada, quella che raggiunge prima Apollonas e poi le spiagge del litorale nord: Abrahami, Kilia Vrissi e Pachia Ammos.

La musica e il ritorno
Di tutte le isole Cicladi solo Naxos oggi ha una tradizione così vivace nella musica e nella danza.
Per i giovani Naxiani si dice che escono dalla pancia della madre che ballano, perché imparano a ballare così fin dalla tenera età, come se avessero il ritmo nei loro geni. Non è casuale che le famiglie più note di musicisti greci provengano da Naxos, dove hanno dedicato tutta la vita alla musica folk, suonata dai souvliari (una sorta di pipa del pastore), i doubaki (un tamburo), il violino e il liuto.
Se avete la possibilità di andare a un festival estivo di Naxos sarete in grado di scoprire tutta questa bellezza e di ballare dalla notte al mattino. Specie quassù, nel villaggio montano di Apeiranthos, abitato come per magia da tanti poeti che con facilità compongono versi che celebrano la vita, le feste, gli addii e i ritorni all’isola.
E vi confesso una cosa: quando dopo vent’anni sono tornato a Naxos non ho avuto il coraggio di tornare nel piccolo villaggio, volevo quel ricordo fermo e cristallizzato, Unico. Avevo paura di vedere cose che mi avrebbero deluso. Di commuovermi troppo a scoprire che quella vecchietta non c’era più. Che quel giovane musicista era emigrato altrove.
L’ho lasciata lì Apirathos, in un angolo segreto del cuore, mentre prendevo il sole e praticavo il surf sul litorale di un villaggio turistico italiano, nella zona di Mikri Vigla. O mentre mi gustavo il polpo alla brace, nella taverna immancabilmente vista mare e vista arco.


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