Meraviglia araba

Se una civiltà, una cultura, un popolo rimangono per più di 800 anni in una terra straniera, quella terra, quella cultura, quella civiltà possono lasciare dei monumenti e dei segni per l’eternità: così è toccato in sorte alla splendida Granada, nascosta tra le montagne dell’Andalusia, di vivere fino in fondo tutto il destino della sua meravigliosa favola araba. E di risplendere nel mondo grazie ad essa.
Nel 1237 la città spagnola già occupata da alcuni secoli dai Mori cade sotto il dominio della dinastia dei Nasridi che la governano e abbelliscono per oltre due secoli con le opere e le costruzioni sorte durante il loro sultanato. In questo periodo di gloria Granada diventa una delle città più importanti d’Europa, sicuramente una di quelle più educate al gusto del bello.
I califfi arabi amano l’arte, la ricchezza, la musica, la poesia, lo splendore delle forme architettoniche, siano esse mura torrite, chiostri silenziosi, cappelle votive, antichi minareti, saloni esagerati, volte ad arco decorate, mosaici dipinti con raffinati motivi geometrici e calligrafici, bassorilievi di pregio; si circondano di giardini profumati, di verde, di fiori, di acqua che sgorga dentro vasche e fontane, di tranquilli patios per corteggiare, filosofare e conversare, di bagni termali per purificarsi e rilassarsi; si godono il lusso e il vizio di abiti di seta, di golosi banchetti, di fragranze d’oriente, della vita di corte, di passionali alcove; lavorano con genio il cuoio e il ferro, le ceramiche, le pietre preziose, la seta e il legno in botteghe, laboratori e concerie.

“Non toccate l’Alhambra”
L’Alhambra ospita e alimenta tutto questo, permea di sé l’esistenza e le tradizioni stesse della città di Granada, assurge a simbolo storico, artistico e culturale dell’ultima roccaforte musulmana in Spagna e solo nel 1492 dopo anni di faticosa e sanguinosa Reconquista, da residenza dei sultani islamici diventa residenza dei reali cattolici di Castiglia e Aragona.
Furono esteti, furbi e lungimiranti i sovrani in questione: il capolavoro dell’arte araba, il sogno dei califfi, era troppo grande, troppo bello, non andava distrutto ma plasmato, goduto e vissuto.
Entriamo dentro questo indimenticabile “Palazzo Rosso”, viviamo da dentro questo sogno.

L’Alhambra in un giorno
Intanto un consiglio, la visita della fortezza medievale moresca, ovviamente Patrimonio Mondiale dellUmanità per l’Unesco, va prenotata, tramite web o il pacchetto scelto con la vostra agenzia di viaggi. Ma già a prenotarla, a sfogliare un catalogo, a leggere un libro d’arte vi renderete conto che più di una fortezza, più di un monumento, essa rappresenta qualcosa di molto più vario e di molto più grande: il miracolo di una cittadella artistica e il suggestivo racconto di una cultura. Suggestivo a partire dal colore perché le pietre con cui è stata costruita sulla collina di Sakiba sono state impastate con l’argilla rossa che specie al tramonto si mette in bella mostra e riflette tutta la sua luce morbida e calda.
Si varca il suo ingresso e si entra in un regno magico perché l’Alhambra è una serie di palazzi reali, magnifici giardini, torri medievali, chiese cristiane, patios andalusi, mosaici arabeggianti, colonne e pavimenti in marmo, soffitti pregiati in legno e abbelliti da nicchiette e stalattiti che sono forme decorative tipiche dell’arte persiana. Una bellezza che acceca, una poesia che guarda e protegge la città e allo stesso tempo l’anima più tipica dell’Andalusia. L’Alhambra è senza dubbio il complesso monumentale più visitato di tutta la Spagna.

La fortezza moresca e quella rinascimentale
Il percorso di visita comincia nella parte più antica dell’Alhambra, il primo nucleo della fortezza militare che è stata, la solida e inespugnabile Alcazaba dei Re Mori. Qui si sale sulla Torre de la Vela, la più alta della cittadella, e ci salgono soprattutto le donne che cercano marito perché un’usanza locale dice che se suonano la campana della torre il 2 gennaio troveranno lo sposo entro l’anno.
Si visita poi il Palazzo rinascimentale di Carlo V, con la sua pianta a due piani, uno pieno di colonne doriche e uno di colonne ioniche.


Oggi ospita il Museo di opere d’arte araba dell’Alhambra e visitarlo significa capire meglio questo affascinante sincretismo tra il mondo spagnolo e quello proveniente dalle oasi e dal deserto.
Le sale del palazzo inoltre ospitano i principali festival estivi di Granada dedicati alla danza e alla musica.
Irripetibile la magia di una notte d’estate a Granada: se si passeggia sotto la mole dell’Alhambra i suoni, i colori, le bellezze provenienti dalla reggia illuminata fanno pensare allo stupore di Aladin davanti al Palazzo Reale.
Il cuore della Reggia
Gli altri palazzi detti Nazaries sono quelli in stile arabo e qui si ammirano stupende pareti in stucco e pregevoli soffitti in legno intagliato. Il Palazzo Mexuar dedicato alla giustizia e agli affari, il Palazzo Comares celebre per il trono, il suo bagno termale e la sua torre con vista magnifica su Granada, ma soprattutto il Palazzo dei Leoni che era la vera e propria residenza del sultano (harem incluso…) rappresentano un capolavoro assoluto di equilibrio e armonia architettonica.
Ti viene da camminare piano, per assorbire e ricordare e immaginare tutto.

Il miracolo dell’acqua
I corsi d’acqua che scendevano dalla Sierra Nevada vennero regolati da abili architetti naturalisti in piccoli canali, bacini, ruscelli e pozzi che permisero ai giardini e ai boschetti di fiorire. L’acqua delle vasche o delle fontane nell’Alhambra gioca ancora un ruolo principale, asseconda la pace, crea un clima di dolcezza e serenità, di tempo sospeso, accompagna il silenzio e fa assomigliare il luogo a un’oasi dell’arte e dello spirito. Sono stati sempre bravi gli arabi con l’acqua, provenendo da terre aride l’hanno saputa sempre trattare come il bene più prezioso.

Nel Palazzo più famoso le statue dei leoni sorreggono la sorgente della vita, parlano di eternità e di gloria. La foresta di agili colonne di marmo bianco e filigranato completa il quadro, creando l’incanto pieno di luce.

Altre sale dove abbondavano ori, tappeti, arazzi, stucchi, mosaici riportanti i testi del Corano, ricordano i banchetti, le cerimonie, le vendette o gli intrighi dell’harem: sono quelle degli Embajadores, de los Abencerrajes, de las dos Hermanas.
Altri spazi intimi e fiabeschi si aprono alla vista: il Tocador, il salottino della regina che è un Belvedere in cima a una torre; il giardino di Lindaraja con la fontana di alabastro, gli alberi di agrumi e i cespugli di mirto; il giro per i bagni termali sotto le volte scure, il giro sui robusti bastioni con le viste dei frutteti, delle case bianche dell’Albaicin, delle cime spesso nevose della Sierra Nevada e del volo delle rondini. L’ultimo giro se si vuole e se si può va compiuto al chiaro di luna per capire fino in fondo il fascino sognante del luogo.

Il tempo dell’Alhambra, favorito “dalle sue forme eleganti, leggere, quasi aeree” (Eberhard Horst) sembra non essere mai passato. Ha resistito a terremoti, saccheggi, allo scorrere dei secoli che rovina naturalmente le cose. Ha perpetuato la favola araba dell’Andalusia.
La pace dei giardini
Dopo tanto splendore di ambienti, saloni, portali, patios e corti “che si susseguono con un ordine armonico, quasi musicale” (ancora Horst) si passa al Generalife, la residenza di campagna dei sultani arabi, famosa per i suoi giardini, le sue fontane, i suoi frutteti, i viali alberati, le siepi in fiore e le piscine. Dal Mirador de la Escalera de Agua si ammira tutta la città.
Una curiosità: la parola generalife deriva da un termine arabo che significa “il giardino dell’architetto”, dove per architetto probabilmente si intende Dio, l’unico capace di creare tanto splendore.

Le ore dentro l’Alhambra passano liete, rispetto a una basilica o a un museo qui lo spazio è più vario, più aperto, offre scenari misti a quelli della natura, per questo è così incantevole. Il pensiero corre a una civiltà colta e gaudente, non importa quanto religiosa, quanto integralista: gli arabi di una volta forse erano più “leggeri” di quelli attuali. Feroci nelle battaglie come del resto i conquistadores spagnoli, ma più mossi verso il bello, verso l’assoluto, verso l’urgenza di creare il Paradiso in Terra. E l’Alhambra questa visione sembra davvero realizzarla.
Sulla sua porta d’accesso campeggia la famosa frase del poeta Francisco Icaza, che illustra con pochi versi la verità definitiva: “Dagli un’elemosina, donna, perché non c’è nella vita pena maggiore che esser cieco a Granada”.

Racconti dell’Alhambra
La favola del romanticismo andaluso, della cultura islamica che diffuse ozi, splendori e voluttà nelle terre assolate tra Granada, Cordoba e Siviglia, di quella parte di Spagna vissuta come avamposto del lontano Oriente venne rappresentata benissimo nel libro “Racconti della Alhambra” dello statunitense Irving. L’Alhambra descritta come scrigno di gioielli dell’arte islamica, come fantasia di talismani, maghi e tesori sepolti. L’Alhambra vissuta come sortilegio sottile, come luogo leggendario. La reggia dei sultani e i capricciosi arabeschi dei Mori a lui svelati passo passo da un’umile guida che si definisce “figlio dell’Alhambra”.

Ecco quindi la meraviglia provata difronte alla Corte dei Leoni: “la caratteristica di questa architettura sembra essere più l’eleganza che la grandiosità e rivela un gusto sottile e incantevole e un’attitudine ai piaceri dell’idolenza”, ecco la suggestione di immaginarsi scene delle alcove segrete: “ci si aspetta, quasi, di scorgere la bianca mano di una qualche misteriosa principessa farci segno dal balcone, o lo scintillio di due occhi scuri tra le gelosie”, ecco l’incanto del chiarore lunare che si sparge sui cortili, sugli alberi, sui marmi, sull’animo stesso dei viaggiatori: “ci si sente come trasportati in un’altra, superiore atmosfera; si prova una serenità d’animo, una leggerezza di spirito, un benessere fisico che fanno del puro e semplice essere vivi una delizia”.
Esiste in Europa qualcosa di più simile alle atmosfere evocate nelle “Mille e una notte”?

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