Dall’Andalusia alla Castiglia
Qualcosa è cambiato, è evidente. Nel paesaggio, nei cartelli stradali e forse anche nell’anima.
Già ci mancano la luce e il mare del sud spagnolo, quella terra calda e sensuale che è l’Andalusia, quei pueblos blancos e quelle regge meravigliose, quelle cupolette arabe e quei venditori di tappeti e di datteri, quegli enormi tori scuri nei campi con lo sguardo fisso, la drammaturgia del flamenco gitano, i venti e le dune africane.

Ora la terra è soprattutto terra, nessun orizzonte azzurro, nessun capolavoro artistico, chilometri di vuoto e di aspre solitudini. Contadini chini nei campi, paesini addormentati ma senza il fascino delle macchie bianche tra Siviglia e Cadice. Nessun cartello con scritto Algeciras a ricordarci la vicinanza dell’Africa. Nessun esempio di sincretismo culturale ma la sagoma magra e incerta di un sognatore a cavallo che vedi comparire in cima alle colline brulle o sotto le sagome dei vecchi mulini abbandonati.
In certi momenti del viaggio manca anche il clamore disordinato vissuto in quella babele di Gibilterra, latina e nordica insieme, dove le cabine telefoniche rosse e i pub pronti a servirti pinte di birra e whisky si alternavano ai vicoli dei bazar e alle musiche gitane, dove gli inglesi vestiti di bianco per andare a giocare a tennis si confondevano tra le palandrane dei mercanti arabi. Per non parlare della vitalità di Tarifa o Conil, delle feste e delle onde dei surfisti. Di tutto quel mondo “de la frontera”.
Quasi per contrappasso invece eccoci qua, in una regione che non concede nulla alla poesia già dal nome, perché si chiama Estrema y Dura (anche se l’etimologia assegna il nome alle province estreme della Spagna verso il confine portoghese segnato dal fiume Duero), perché è la più povera e arretrata dell’intera Spagna, perché i giovani non vivono nel sogno dei califfi e nella magia dei patios ma sognano soltanto di prendere definitivamente la strada di Madrid o Barcellona o Bilbao. Come accade, fatalmente, in certi angoli del nostro Mezzogiorno.
La rivincita
Credo che non sia affatto un caso che i più famosi, avidi e crudeli conquistadores vissero e partirono da qui… Pizarro era un guardiano di porci nella sonnolenta Trujillo, dove zappava la terra e subiva umiliazioni per il suo essere figlio illegittimo e analfabeta, mentre Cortès, probabilmente appartenente ad una famiglia più nobile, crebbe nella piccola e povera Medellin, in provincia di Badajoz, dove sono rimasti duemila abitanti sulle sponde del fiume Guadiana, nelle case bianche sorvegliate da una fortezza color ocra e dalle rovine di un teatro romano. Ai tempi di Cortes almeno 300 compaesani parteciparono alle spedizioni di conquista nelle Americhe: da una terra estrema e dura ecco emergere un personale e ferocissimo bisogno di rivincita.

Pizarro segnò la fine degli Inca in Perù, Cortès quella degli Aztechi in Messico. Ed entrambi arrivavano da questa polvere. Forse per questo, abituati al nulla, furono investiti dalla sfrenata cupidigia di terre e tesori lontani. E in America portarono morte e sangue, oltre che la fondazione di nuove città che prendevano il nome di quelle natali (Trujillo oggi è il centro principale del Perù del nord, mentre la complicata Medellin si trova in Colombia e una anche in Messico, vicina a Veracruz, come in Messico fu esportato nello Yucatan il nome di Mèrida).
Al confine col Portogallo
A livello di arte e centri urbani il giro dell’Extremadura può cominciare dal suo capoluogo, Badajoz, il maggior centro abitato di questa immensa landa, a soli 6 km dal paese lusitano. L’aria del Portogallo arriva eccome a Badajoz, te ne accorgi dalle botteghe artigiane che lavorano il sughero, delle fabbriche di azulejos, da alcune musiche che somigliano al fado, dai piatti di baccalà e olive che arrivano sulle tavole. Fa un po’impressione sapere che siamo nella seconda regione più grande di Spagna e allo stesso tempo quella col minore PIL.

Tra le mura arabe di Badajoz, tra le sue vie storiche e i pittoreschi porticati la visita corre via piacevole ed è sublimata dalla pausa pranzo in una tipica taverna dove zuppa, formaggio, pane e vino locale sono ottimi. L’estate da queste parti può diventare bollente, 40 gradi sull’altopiano secco, nessuna arietta mitigatrice proveniente dal mare. Protagonisti assoluti delle campagne i maiali selvatici, da cui si ricavano squisiti prosciutti.
L’eco dell’Hispanico
Nel passeggiare tra i resti romani di Mèrida mi è venuto in mente lui, il gladiatore impersonato da Russel Crowe, con lo sguardo vigile e i muscoli tesi, pronto a uccidere le belve o i nemici tra i fiotti di sangue che macchiano arene polverose. L’elegante teatro romano, simbolo della gloria dell’Impero, i resti dell’anfiteatro dove i gladiatori combattevano e morivano, il grande prato del circo dove correvano carri e bighe, le colonne del tempio di Diana, situato nel cuore del Foro, gli archi maestosi dell’acquedotto… tutto risalente intorno al 15 A.C e tutto che parla di una piccola Roma ispanica, di una terra di confine dove arrivavano comunque i giochi, le lotte e gli spettacoli del grande impero.

Le gemme d’arte nella povera campagna
A nord ecco la Valle del Jerte coi suoi alberi di ciliegio e le sue cascatelle, la bella escursione a Plasencia, che stupisce per i palazzi signorili, il panoramico viale fluviale e la ricchezza delle sue cattedrali, la prima in stile romanico e gotico e la seconda in stile plateresco.

A soli 40 km da Plasencia vale la pena di raggiungere il borgo medievale di Hervas, adagiato vicino a un placido fiume, con le case storiche del quartiere ebraico e la vita che ha il sapore di tempi passati. Ma noi decidiamo di fermarci per la notte in una pensione sulla Plaza Mayor di Cacères, circondata da affascinanti portici, per visitare con calma la sua città vecchia e il giorno dopo il vicino il Monastero Reale di Santa Maria de Guadalupe: entrambi patrimoni culturali dell’umanità per l’Unesco.
Mi è piaciuto molto camminare tra le vie medievali, i palazzi rinascimentali, le piazze eleganti e le chiese barocche di Cacères, percorrere la sua cinta muraria, salire sulle torri arabe e cristiane, passare sotto gli archi, trovare momenti di raccoglimento nei suoi eremi di pietra. Il silenzio della notte era magico, così la città illuminata dai lampioni, il selciato scuro, gli angoli più intimi del borgo antico, usato come set cinematografico per alcune scene de “Il trono di spade”.

Cultura, storia e bellezza di Cacerès: un luogo davvero sorprendente nel mezzo di una regione afflitta da problemi quali la disoccupazione e l’emigrazione. L’assaggio preferito qui è stata la tapa de zorongollo, un’insalata a base di peperoni arrostiti, pomodori, aglio e olio d’oliva. Accompagnata da un bel calice di rosso corposo: buenas noches!
Il monastero della Vergine invece, per quattro secoli il più importante di Spagna, si fa ricordare per la bellezza del suo tempio-basilica, la possenza delle otto torri e la raffinatezza dei chiostri gotici e mudejar. Sorge nel luogo dove secondo la leggenda la Madonna apparve a un pastore, ospita anche il museo dei ricami e alcune opere importanti del pittore Zurbaràn, prima fra tutte “L’apoteosi di San Geronimo”. Sempre nella zona di Cacerès spicca la severa mole del castello di Trujillo, città natale di Pizarro, la cui statua campeggia ancora nella addormentata piazza centrale piena di sole, guardando la chiesa di pietra e i vecchi portici. Da questo paesotto che oggi conta più o meno 10.000 abitanti provenivano pure Francisco de Orellana, che diede il nome al rio delle Amazzoni, e Hernando de Alarcòn che risalì il Colorado.

Paradisi naturali
Sui rilievi più alti della regione ecco il parco nazionale di Monfrague (il nome è di origine romana, Monsfragorum, monte aspro) dove sulle rocce aguzze, tra le querce da sughero, i lecci e i resti di antiche fortezze arabe si possono osservare in volo aquile e falchi, grifoni e avvoltoi, aironi e cicogne vicino agli stagni, oppure le rarissime linci. Pare che da quassù si osservino benissimo le stelle: me li immagino ansiosi Francisco Pizarro o Hernàn Cortes a sognare la gloria futura guardando il cielo notturno dell’Extremadura…

Già più spostato verso la Mancha e la rotta per Ciudad Real e Toledo ecco invece il parco nazionale di Cabaneros, un tipico esempio di bosco mediterraneo dove la grande bellezza è rappresentata oltre che dai rapaci dalla silhouette elegante del cervo che col suo bramito rende più misterioso l’ambiente del bosco. Il parco è il regno delle avventure outdoor, vi si organizzano safari in jeep e discese in kayak sui torrenti. Con un po’ di fantasia quando abbandona i boschi per svelare le sue ampie e aride e gialle distese è stato soprannominato “il Serengeti di Spagna”.

Domani è già tempo di Mancha.
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