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Metropolis

Dilemma Detroit

Il gigante dell’industria automobilistica ha cominciato a perdere colpi, tanti disoccupati se ne sono andati, sono aumentate la rabbia, i ghetti e le tensioni sociali e quindi si può dire che a Detroit il sogno americano negli ultimi decenni sia finito pressoché in frantumi.

Quindici miliardi di debiti hanno causato la bancarotta della città nel 2013, colossi come la General Motors, la Ford e la Chrysler hanno conosciuto per la prima volta una fortissima crisi, si sono scoperti abitanti senza un lavoro, senza un soldo e senza un tetto frugare disperatamente tra le rovine delle fabbriche in cerca di pezzi di metallo, molte case, anche belle, sono state abbandonate da chi ha lasciato definitivamente la città. Perché non aveva più niente da fare o da sperare in Detroit.

Il gigante dell’industria automobilistica ha cominciato a perdere colpi

E “8 Mile” di Eminem ha solo alzato il coperchio su tanto declino.

E “8 Mile” di Eminem ha solo alzato il coperchio su tanto declino

I neri nelle baracche di Brightmoon fumano crack, vivono emarginati, l’emarginazione crea disperazione, la disperazione violenza, furti, rivolte, incendi, omicidi. Nella rabbiosa Detroit purtroppo il tasso di criminalità è diventato cinque volte maggiore che nella media degli Usa, anche il tasso di disoccupazione che sfiora ormai il 20% è il più alto d’America. Tutti primati di cui la città di altri nobili decaduti, gli eroici Pistons del basket di Isiah Thomas, farebbe volentieri a meno.

Stiamo dunque parlando, stiamo tentando di parlare, di uno dei luoghi più difficili e desolati degli Stati Uniti, altrove brillanti, vincenti, opulenti. Qui regnano di più la rassegnazione, le baracche, i depositi di rottami, gli immondezzai a cielo aperto, le periferie senza servizi. Un giovane di colore su due entra o esce da una banda o dal carcere, o magari non c’entra niente con nessuna delle due realtà ma viene pestato dalla polizia a un controllo stradale o per un bicchiere in più di alcol. A Detroit non a caso si sentono ancora gli echi ritratti nel crudo film della Bigelow, la bravissima regista di “Detroit”, capace di narrare con estrema concretezza tutti i disagi della gente di colore, anni addietro (siamo nel 1967, al tempo del massacro al Motel Algiers) ma forse anche di oggi. Un film questo, che potrebbe essere pure una fotografia moderna, della discriminazione e dell’ingiustizia che esiste in tanti quartieri neri anche negli anni 2020 e che resta una ferita nella coscienza dell’America. “Detroit” proprio come “8 Mile” va visto per provare a capire da dove magari si siano sviluppati tanti dei suoi problemi sociali.

Detroit a colpirci al cinema, la città sporca e operaia, di gente disillusa e povera

Tornando per un attimo a Eminem il suo film parla invece delle difficoltà di crescita “al contrario”, ovvero nel diventare un degno artista dell’hip hop in un genere musicale dominato soltanto dai neri. Bella e vibrante la sua sfida con Papa Doc, significativa la sua vittoria, ma è ancora Detroit a colpirci al cinema, la città sporca e operaia, di gente disillusa e povera, di ghetti trascurati. Pioggia, scene scure, strade scure, atmosfere difficili, caratteri difficili. Con la 8 Mile, la lunga arteria che divide la città borghese delle villette e dei giardini da quella dove non si va a scuola, si mangia una volta al giorno e si abita spesso in roulottes.

Considerati allora i disagi, il declino delle fabbriche, la rabbia dei ghetti dove sono allora i motivi di interesse o i (pochi) segnali di speranza? C’è una luce in fondo al tunnel? Si può in qualche modo risolvere il dilemma Detroit?

il declino delle fabbriche, la rabbia dei ghetti dove sono allora i motivi di interesse o i (pochi) segnali di speranza?

Qualcuno vede una opportunità negli spazi vuoti lasciati dalle grandi fabbriche: terreni da riconvertire in urban farms e quindi ecco chissà emergere nuove tendenze, nuovi mestieri, ecco forse ritornare i giovani, magari i più coraggiosi, i più alternativi.

Qualcun altro la giudica una città che potrebbe rinascere con le gallerie d’arte, i graffiti, i laboratori artigianali, l’intuito, il talento, la creatività, la spregiudicatezza. Del resto come non utilizzare gli enormi e vuoti hangar come loft e atelier dove poter inventare o sperimentare?

Per dei critici musicali potrebbe sorgere qui, anni dopo Chicago, una nuova culla dei ritmi neri, dal blues più nostalgico al già affermato e rabbioso rap di protesta. E quindi sorgere un’economia di club, concerti, etichette musicali. Lontana magari dall’immagine di faide e regolamenti di conti nella gelida città innevata che ci ha lasciato un altro film duro, “Four Brothers”, con Mark Whalberg, dove quattro fratellastri fanno una strage per vendicare la morte violenta della madre.

le gallerie d’arte, i graffiti, i laboratori artigianali, l’intuito, il talento, la creatività
In nuovi Musei, oltre a quelli già rilanciati di arte, storia e scienza

Per degli urbanisti la Detroit dei terreni abbandonati, dei vetri rotti, dei binari arrugginiti, dei lampioni che non funzionano più, delle ciminiere inutilizzate potrebbe esprimere nuove idee e concetti abitativi. Potrebbero trasformarsi in nuovi spazi sportivi, per rivedere brillare le stelle del basket o del baseball. In nuovi Musei, oltre a quelli già rilanciati di arte, storia e scienza.

Insomma tutto un pronosticare rinascite dal declino.

Per rinascere sul fiume, col verde, coi giovani, con l’arte. Per tornare ai tempi felici dei suoi primi abitanti, tutti intraprendenti cacciatori di pellicce!

Auguri città difficile.

Magari con questo inno al coraggio:

video di “Lose yourself”, la canzone manifesto di Eminem che dice:

E’ meglio che ti perdi nella musica,

il momento lo possiedi, meglio che non lo lasci mai andare,

hai solo un’opportunità, non perdere la tua chance di farcela…

Niente più giochi, cambierò ciò che chiami rabbia”

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