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I cinesi nelle megalopoli: ma quanti sono?? – prima parte

Un’altra Cina

“Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà”: questa frase pronunciata da Napoleone nel 1816 e poco prima di morire anche da Lenin sembra essere diventata molto adatta a rappresentare i tempi che stiamo vivendo. Era una profezia sul potenziale enorme di questo territorio enorme, abitato da quasi un miliardo e mezzo di persone, il 20% della popolazione mondiale.

I cinesi nelle megalopoli: ma quanti sono?

La profezia si sta avverando: l’Occidente da sempre imitato, sta per essere superato.
L’Occidente infatti è sempre più invaso da un’economia aggressiva, da fiumi di merci, per cui “il secolo cinese” come sostiene Federico Rampini nel suo illuminante saggio è davvero già iniziato. Coi suoi pregi e i suoi difetti: da una parte un’attitudine al progresso impressionante, un laboratorio perenne di modernità, la capacità di produrre a bassi costi e a grandi ritmi che spesso tracima nella pirateria industriale o nella completa assenza di sindacati, diritti e tutele dei lavoratori; dall’altra parte questa nuova Cina che si presenta alla ribalta del mondo in modo sfacciato, non solo con la sua storia e la sua cultura millenaria o come la fabbrica di ogni bene immaginabile, ma anche come “l’epicentro della distruzione ambientale e il buco nero dei diritti umani”.

Prima di introdurci nel luogo fisico dove questa dimensione colossale “del pericolo giallo” e della concorrenza “sleale” si esprime al meglio, ovvero nell’alveare delle megalopoli cinesi, o nel fenomeno del commercio elettronico di Alibaba che non poteva che nascere in Cina (!), rifugiamoci e consoliamoci per controcanto con alcune immagini dell’altra Cina, l’immenso paese delle campagne, delle risaie, delle montagne, della storia, dei miti. Perché questo volto affascinante, ai ritmi di crescita attuali, così caotici e vertiginosi, rischia di scomparire per sempre.
Le foto che seguono vogliono quindi tradursi nell’elegia di un passato ormai compromesso dalla fretta e dalla modernità.
Quella che una volta era chiamata romanticamente “la Via della Seta” oggi sembra soffocata dal capitalismo spietato di un regime totalitario che purtroppo da un punto di vista politico, come ha insegnato il triste massacro di Piazza Tienanmen nel 1989, ancora non ammette repliche.
Ecco perché può far bene a tutti, per primi ai cinesi stessi, guardarsi indietro e guardare la natura prima di farsi inghiottire definitivamente dalle nuove dottrine della produzione e dell’urbanizzazione.
Se dal 2005 i cinesi sono diventati i maggiori consumatori di prodotti industriali e agricoli e nel contempo i primi utilizzatori al mondo di internet e i primi acquirenti di cellulari, questo non significa che siano privi di un passato e di un paesaggio ispiratore, quella indubbia culla di civiltà raccontata ne “Il Milione” quasi 800 anni fa da Marco Polo.

Forse come afferma Federico Rampini “il secolo cinese in cui entriamo non è un’anomalia, anzi riporta le cose in ordine, rimette la Cina nel posto che le spetta: il centro del mondo”.

l’immenso paese delle campagne, delle risaie, delle montagne, della storia, dei miti
la dottrina di Confucio o di Buddha
La pace di un tempio o di un lago

La pace di un tempio o di un lago, la dottrina di Confucio o di Buddha, la natura primordiale e i mestieri più semplici, le tracce mitiche della storia, alcuni luoghi che miracolosamente sono esenti da industrie, traffico e smog. Un viaggio in Cina per fortuna permette di vivere anche queste esperienze.

Un viaggio in Cina per fortuna permette di vivere anche queste esperienze.

La classifica

Guardiamo ora nel dettaglio gli spaventosi numeri oggetto del nostro album sulle megalopoli cinesi. Nb: il parametro considerato è tutta l’area urbana, comprese le infinite cinture periferiche e il continuo incorporamento di numerosi villaggi. Tali numeri vanno visti e giudicati al netto delle difficoltà di compiere censimenti infallibili, perché proprio nelle aree rurali molte famiglie non rispettano l’indicazione del figlio unico…. E prima o poi come spiegato i contadini arrivano a vivere nelle città…

Il dragone

Altra riflessione, più sociologica, più etica, è quella che Rampini ha strappato come confessione al Professor Xu Jin, direttore dell’Istituto di Studi sulla popolazione all’Accademia delle scienze sociali di Pechino, sui costi umani della Superpotenza: “Studi urbanistici dimostrano che esiste un livello di guardia a quota 20 milioni: oltre quella soglia di abitanti nessuna metropoli al mondo può reggere. Le infrastrutture rischiano il collasso. Trasporti, rete idrica, fognature, ordine pubblico. Chongqing, Pechino, Shangai, Canton e Shenzen si avvicinano rapidamente a quel limite”.

Ecco le Megalopoli nella Cina del 2020

Ecco le Megalopoli nella Cina del 2020, ecco la mappa geopolitica dello tsunami economico che sta cambiando il mondo. E se difronte a tali numeri impressionanti la nostra possibilità di difesa risiedesse proprio nella dimensione più piccola, più artigianale, più ecologica, più democratica e più talentuosa dell’Italia e dell’Europa?

  1. Chongqing, 36 milioni di abitanti
  2. Shangai, 30 milioni di abitanti
  3. Pechino, 25 milioni di abitanti
  4. Canton, 20 milioni di abitanti
  5. Tianjin, 15 milioni di abitanti
  6. Wuhan, 11 milioni di abitanti
  7. Shenzen, 10 milioni di abitanti

Nb: questi numeri tra 2 mesi potrebbero essere già cambiati!

Chongqing, l’ultimo mostro

Come nome non la conosce quasi nessun europeo perché è cresciuta troppo in fretta per farsi notare. Era la sede del mitico Regno di Ba ed è esplosa demograficamente quando l’eccezionale costruzione della Diga delle Tre Gole ha causato lo spostamento coatto di milioni di contadini. Il governo l’ha giudicata il posto più adatto per lanciare lo sviluppo nelle regioni occidentali della Cina, l’ha dotata di banche, uffici e grattacieli a dismisura, di spazi verdi per le attività all’aperto e di una ferrovia sopraelevata, del più grande auditorium del paese e di uno zoo che preserva gli ultimi panda dall’estinzione.

Chongquing è diventata in breve una calamita per legioni di lavoratori che se non passano il tempo a produrre si ritagliano qualche ora di pausa a pescare nel fetido tratto di fiume.

Secondo “The Economist” stiamo parlando della metropoli emergente della Cina, proprio perché ha il compito di far emergere le potenzialità ancora inespresse dell’ovest del paese, di far crescere la produzione manifatturiera a ritmi enormi (come il recente fenomeno delle motociclette, per esempio) e di consolidarsi come hub economico sul fiume Yangzi.
Analogie impressionanti con quello che fu il sogno e la scommessa americana dei primi pionieri: andare verso il Far West, verso la frontiera, cercare laggiù la ricchezza, lo sviluppo, la promessa di una vita migliore e di un grande futuro.
Ma un altro formidabile sbocco di mercati e commerci per Chongqing è a est perché navigando lungo il Fiume Lungo, lo Yangzi, si arriva fino a Shangai, alla Cina più scintillante.

Album di Chongquing

Shangai, dove è nata la Cina moderna

Shangai è la città cinese più moderna, o meglio è vista come il luogo di nascita di ogni cosa considerata moderna in Cina.
La città con più grattacieli avveniristici e architetture che guardano al futuro, coi treni ad alta velocità che in Occidente ci sogniamo, con le vetrine appariscenti e le mille luci sempre accese.

La principale città della costa meridionale, da sempre cuore economico, commerciale e finanziario del paese. La città dove sono nati il cinema e il teatro cinese, il commercio del tè, del riso e della seta, oltre che tutte le mode. Quella col maggior tasso di istruzione. Il maggior porto cinese (il suo nome significa “Sul Mare”) che si sviluppò soprattutto tra la fine dell‘800 e l’inizio del‘900 quando si popolò di ebrei in fuga dal nazismo, di russi in fuga dalla Rivoluzione, di occidentali in cerca di fortuna.

Un posto che accettò tutti e che si alimentò dei sogni, del lavoro e delle speranze di tutti.
E chi al contrario partiva da qui fondava insieme ai cantonesi, dotati dello stesso spirito pratico e imprenditoriale, le varie Chinatown sparse nel mondo.

Per decenni ha avuto la fama di città affascinante, eccitante, tentatrice, equivoca, vuoi per la presenza di tanti bordelli, di fumerie d’oppio, di jazz club, del Bazar dei Giardini Yu, vuoi perché centro di affari ricchi e di affari sporchi e storie di clan. O anche per le sue residenze neoclassiche schierate sul lungofiume del Bund o l’intimità e la ricercatezza del suo quartiere francese.
Ci si veniva a divertire a Shangai, a trasgredire, ad arricchirsi a tal punto che si è conquistata l’appellativo di “Parigi d’Oriente”.

Oggi più che mai ci si viene per i giganteschi giri d’affari, per gli acquisti nei negozi di lusso, per i commerci internazionali trattati in altissimi edifici di vetro e cemento, come l’Oriental Pearl Tower o lungo strade tutte illuminate al neon, come la Yan’an.

La nuova Sky Line voluta dal vecchio Deng XiaoPing sull’isola di Pudong all’inizio degli anni ’90 batte quella di molte città statunitensi o canadesi ed è un concentrato impressionante di grattacieli, banche, alberghi, centri industriali, locali notturni: “la Manhattan del Terzo Millennio” descritta da Rampini, quella che sfida Hong Kong e Singapore, quella a cui guarda come un modello da superare l’indiana Mumbay, quella dove l’energia elettrica non basta mai per alimentare tutte le fabbriche, tutti i consumi, tutte le attività, quella con l’hotel e la torre tv più alte del mondo, quella City che vive a ritmi cool e febbrili con un suo spirito, un suo destino, una sua vocazione: crescere, crescere e ancora crescere.

La city di Shangai ogni giorno diventa più alta, più ricca, più veloce, più tecnologica, più frivola. E rischia addirittura una fine clamorosa: “il peso di tutto quel cemento ha un effetto tremendo, i geologi rilevano che la città intera sprofonda di 8 millimetri all’anno”.
O se va meglio di unirsi nell’ennesimo nuovo agglomerato alla città di Hangzhou, 140 km più a sud, dove sono già nate 14 Università per investire sui giovani di domani e dove è rimasta la statua di Marco Polo. Chissà se il nostro esploratore avesse previsto tutto questo!

l’hotel e la torre tv più alte del mondo

Il boom di Shangai e della Cina in genere non potevamo aspettarcelo. Come ricorda Rampini verso il 1990 “Shangai era ancora una città decrepita e stagnante, coi palazzi vecchi…le strade piene di biciclette e risciò…fare la spesa in un grande magazzino era un’esperienza logorante…è bastato far saltare il tappo del maoismo che aveva represso infinite energie nascoste per far accadere il prodigio.
La disciplina e l’obbedienza di un popolo per il quale il lavoro è tutt’ora una benedizione; il leggendario talento commerciale che il comunismo non era riuscito a sopprimere…la parsimonia delle famiglie e gli inesauribili giacimenti di risparmio, il rispetto confuciano per l’istruzione: tutto ciò ha consentito il verificarsi del miracolo cinese, quel grande balzo in avanti che non era riuscito a Mao Zedong”.

E questa città incredibile, verticale e vorticosa, un groviglio di svincoli e di tangenziali, con le sue 350 fermate di metropolitana costruite in tempi da record, coi suoi milioni di neon, coi suoi uomini-ragno appesi alle pareti dei grattacieli per pulire i vetri dei piani più alti, coi suoi chuppies (chinese yuppies) che fremono tutte le mattine in Borsa, questa economia vorace e questo paese ambizioso oggi fanno tremare gli stessi Usa. Da qui le liti sul protezionismo e la guerra dei dazi, per arginare la globalizzazione che arriva dall’altra parte del mondo, quel “Made in China” che viaggia a una velocità insostenibile per le capacità industriali americane ed europee.

Album di Shangai

Pechino, culla e futuro dell’Impero

Pechino, culla e futuro dell’Impero

Pechino unisce 3000 anni di storia alle nuvole grigie e insopportabili dello smog, la Città Proibita coi suoi templi e pagode sacre alle mille tangenziali rumorose dove si fa fatica a giorni a vedere il cielo, l’architettura spaziale di The Nest, lo stadio olimpico, a quella romantica della Grande Muraglia, lontana meno di 100 km dal centro della città. E sulla metropoli aleggeranno per sempre le giornate dei carrarmati di Piazza Tiananmen.

Pechino soffre di gigantismo ma ha anche un volto nascosto, basta pensare ai nomi che portano molti suoi hutong, i vicoli: Vicolo dell’Intelligenza e della Virtù, della Chiarezza Magica, della Felicità Profumata, della Deferenza e della Sobrietà, della Pace Amara, delle Composizioni Letterarie…

Storie. Filosofie. Echi di una vita antica, semplice, di maestri di musica e di calligrafia, di vecchi che giocano a scacchi per strada, di casette fatiscenti sotto la perenne minaccia di sfratto, di umili botteghe artigiane, di bambini scalzi in bicicletta, di sale da thè e fumerie di oppio, di donne pazienti che bollono il riso. E poco fuori la giungla di cemento e di acciaio, la serie infinita degli ingorghi, i rumori perenni dei cantieri, l’intera galleria dei guasti.

Infine l’inchino reverente della Pechino del futuro alle varie archistar europee, tutte pronte a regalarle un nuovo simbolo e un nuovo volto.

La firma di un designer occidentale in Cina è sempre più molto ambita, molto ricercata e molto costosa e l’occasione decisiva di Pechino per ospitare il gala e il gotha dell’architettura moderna sono state le Olimpiadi del 2008 che hanno lasciato nella capitale lo stadio a forma di nido, la piscina capace di gonfiarsi come una bolla, un teatro dell’opera ovoidale, un grattacielo di vetro a forma di O e la sagoma di un immenso dragone. Una sorta di indigestione visiva, a tratti esagerata e volgare, anti-ecologica, una specie di laboratorio permanente sul futuro o magari un alibi per dimenticare la mentalità feudale ferma ai monumenti in pietra. Soprattutto il tentativo, non sempre riuscito, di abbellire le tante parti brutte della città…

Album di Pechino

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