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Cultura da Viaggio

La Grande Mela sul Grande schermo

Dentro la Mela

New York è una città-universo, raccontata in cento modi, vivibile in mille modi.

New York è una città-universo, raccontata in cento modi, vivibile in mille modi.

Il cinema è riuscito tante volte a rendercela familiare e vicina, in fondo è proprio grazie a numerosi film che abbiamo potuto assaggiare pure davanti al grande schermo o dal divano di casa gli spicchi della Grande Mela.

Romantica e moderna, eccitante e sempre diversa, il set adatto per le commedie d’amore e per i crudi film basati sul business, per i musical e per i capolavori del fantasy, per le storie di mafia e delle bande, delle etnie. New York come palcoscenico di tutto, del miracolo, della paura, dei sentimenti.

Una mela da cogliere e da mordere, una città da guardare anche perché ogni suo angolo, grattacielo, parco, ponte, quartiere ha soprattutto un potere, quello di esercitare fascino e di diventare subito mito.

Il filone di Wall Street

Il filone di Wall Street

Il film “Wall Street” di Oliver Stone esplora come forse nessun altro il cuore finanziario della Grande Mela, la città delle occasioni, della competitività e dell’aggressività (il simbolismo della statua del toro proprio davanti alla Borsa più famosa del mondo in questo senso è esemplare).

Nella vicenda con protagonista l’abilissimo Gordon Gekko cui presta il volto Michael Douglas, New York esce fuori col suo dark side, il suo lato più oscuro e più ambiguo, più egoista e più cinico, mettendo in mostra tutta la sua sfacciata ricchezza, la sua evidente prepotenza, la sua grande avidità. La città e la City sfoderano un modello dialettico e comportamentale piuttosto crudo e spietato.

Il mondo degli affari nella metropoli americana è border line, segnato da arrivismo, vizio e corruzione e non esageriamo nell’affermare che il culto del denaro in “Wall Street” e ancora di più in “The Wolf of Wall Street” con Leonardo di Caprio arriva in pratica a cancellare i rapporti umani. In compenso alcune scene dei due film girate tra Central Park, le spiagge Hamptons e le vie luccicanti e rumorose di Manhattan o nei verdi sobborghi residenziali fanno dimenticare per qualche momento l’insieme di meschinità e falsità che dominano l’ambiente sociale legato alla Borsa e le personalità di tipi come quelli rappresentati benissimo da Douglas e Di Caprio.

Il film “Wall Street” di Oliver Stone e “The Wolf of Wall Street” con Leonardo di Caprio

(a seguire due monologhi del primo film e il trailer del secondo)

La New York normale

Come contraltare ai film nevrotici basati sul mondo della finanza, dei broker, degli yuppies, ecco le storie di ordinaria quotidianità di Woody Allen, quasi tutte girate a New York.

Nelle sue opere il regista descrive benissimo il dietro le quinte di una realtà dorata come quella di Wall Street, protagonista “inconsapevole” ancora una volta. Il tocco del regista illumina infatti le vite più semplici, quelle di casalinghe, innamorati, cameriere e cantanti, che si ergono quasi a difesa della dilagante miseria morale e materiale dell’America moderna. Dove chi resta indietro è perduto. Dove i soldi si mangiano tutto, anche l’anima.

New York è davvero la cornice necessaria delle sue storie e anche quando il focus sembra fissato sui personaggi, sulle nevrosi tragicomiche dei suoi protagonisti, il vero amore nel cinema di Allen vede come oggetto la Grande Mela, piena di idee, di sfumature, di geometrie, di possibilità, una poesia delicata in bianco e nero come in “Manhattan”, un carosello di vite e relazioni come in “Un giorno di pioggia a New York” e in “La ruota delle meraviglie”.

Ecco allora emergere i rapporti umani, spesso complessi, divoranti, irrisolti, illuminanti, magici, che vanno a dipingere una galleria di situazioni e di tipi psicologici tipici della Grande Mela normale, delle persone normali, delle vite normali. Una città che anche se sporca, inquinata, trafficata, sconclusionata, resta pur sempre dolcemente ipnotica (vedi in “Io e Annie”).

Capitolo primo: adorava New York. La idolatrava smisuratamente… Ah, no. È meglio: la mitizzava smisuratamente, ecco. […] No aspetta, ci sono: New York era la sua città e lo sarebbe sempre stata”: è l’incipit di “Manhattan” del resto a chiarire benissimo l’indirizzo stilistico di Woody Allen. La sua appartenenza, l’indicazione di quale sia la sua città del cuore.

Nel film-manifesto con Diane Keaton diventa iconica la panchina sotto il Queensboro Bridge, da cui sono nate mille cartoline e poster.

Nel film-manifesto con Diane Keaton diventa iconica la panchina sotto il Queensboro Bridge, da cui sono nate mille cartoline e poster.

E’ la mia visione romantica e personale della vita a Manhattan. Mi piace pensare che se tra cent’anni la gente lo vedrà, imparerà qualcosa di cos’era la vita in città negli anni Settanta… Forse è una reminiscenza di vecchie fotografie, film, libri e tutto quel genere di cose. Ma è così che mi ricordo New York.”.

Così Woody Allen spiegò il suo amore per le riprese in bianco e nero dei suoi angoli preferiti di città.

Come è molto chiaro il suo amore per le vecchie e polverose dell’East Village, location di “Hanna e le sue sorelle”, per le memorie e i tempi di Brooklyn espressi in “Radio Days” o per quei cinema, ristorantini e teatri off dove avvengono le sue conversazioni intellettuali come in “Io e Annie” o in “Broadway Danny Rose”. Fino all’adorazione vera e propria per le passeggiate, gli eventi, lo sport e la vita verde nel Central Park o le visite d’arte al Moma o quelle rivolte al cielo nel Planetarium.

Woody Allen e New York, un binomio fortissimo, che si rinnova ogni lunedì sera al Carlyle Hotel con l’artista che suona il clarinetto. Che arriva alla ruota delle meraviglie del vecchio luna park di Coney Island, che si esprime in mille ritratti di interni borghesi.

Ecco alcuni ritratti di NYC

Il filone romantico e quello musicale

Se dovessimo scegliere un film degli anni ’60 col quale identificare il lato romantico di New York probabilmente la prima opzione sarebbe “Colazione da Tiffany” che ci lascia anche il ritratto di una sofisticata e fragile Audrey Hepburn e del suo elegante appartamento nell’Upper East Side.

Un film più recente appartenente con merito allo stesso filone potrebbe essere indicato invece in “Autumn in New York”, dove col dolce e tragico amore vissuto da Richard Gere e Wynona Rider (se ognuno di noi ha il viso di una attrice che diventa una musa, la mia è questa…) va in scena l’apoteosi di Central Park, dei suoi colori, delle sue foglie, perfino dei suoi umori si direbbe.

“L’amore infedele” è un’altra storia riuscita con Richard Gere, ma stavolta la vicenda è un chiaroscuro passionale e torbido, di sessualità istintiva e di infedeltà arbitraria, girato tra gallerie d’arte, loft e vie del Greenwich Village insieme a Diane Lane e Olivier Martinez.

Ancora più spinto e sensuale il ricordo di “Nove settimane e mezzo” con l’iconica scena dello spogliarello in controluce di Kim Basinger dietro la tendina col vocione di Joe Cocker a farle compagnia.

Di altra sostanza, tenera e onirica, la delicata fiaba di “Ghost” girato anch’esso a New York, tra Manhattan e Brooklyn con molte scene tra locali, strade e interni di appartamenti il cui set è stato organizzato nei quartieri cool di Soho e Tribeca.

Mentre lasciamo ovviamente a titoli come “La febbre del sabato sera” e “West Side Story” il compito di celebrare la New York della night lifee dei musical di Broadway. I 2 film hanno segnato senza dubbio un genere, una moda e un tempo. E anche qui colpisce la capacità di storie ambientate a NYC di diventare subito mito.

L’universo delle commedie newyorchesi è sicuramente più di altri il quartiere alto borghese dell’Upper East Side di Manhattan: qui si trovano l’appartamento della fantasmagorica Meryl Streep che interpreta Miranda in “Il diavolo veste Prada”, il ristorante “J.G Melon”, quello del confronto-verità tra la Streep stessa e Dustin Hoffman nello storico “Kramer contro Kramer”, il bistrot “Serendipity 3” in stile belle epoque che dà il titolo all’omonimo film, i grandi magazzini Bloomingdale’s dove si incontrano i ragazzi di Serendipity e pure le vie dove George Clooney e Michelle Pfeiffer si corteggiano in “Un giorno, per caso” e il bar “Baker Street Pub” diventato famoso per le scene di “Cocktail” con Tom Cruise.

Per non parlare del poetico scorcio del Queensbooro Bridge, quello della panchina di “Manhattan” e quello percorso pure da Al Pacino e Johnny Depp in “Donnie Brasco”.

Sono diventati iconici a Midtown anche la pista di pattinaggio sul ghiaccio all’aperto del Rockfeller Center ancora in “Autumn in New York” l’Hotel Waldorf Astoria” in “Profumo di donna” con uno dei migliori Al Pacino di sempre e la Grand Central Station per le scene di “Revolutionary Road” e di “Carlito’s Way” dove l’ex gangster Pacino cerca una difficile redenzione. Sempre in queste strade sono state effettuate molte riprese di “Paura d’amare” con Pacino e la Pfeiffer. Central Park non conta neppure il numero di film girati, tra gli altri anche “Il maratoneta” con Dustin Hoffman, “Love Story” e “La leggenda del Re pescatore”.

Nella zona di Chelsea si ricordano interni e riprese di “Cotton Club” e “Leon”, dalle parti di Union Square si è girato “Qualcosa è cambiato” con Jack Nicholson ed Helen Hunt, il Greenwich Village oltre a comparire in molti film di Allen ha ispirato coi suoi condomini in mattoni rossi e i suoi cortili gli sceneggiatori di “Toro scatenato” e di “Serpico”, mentre i dintorni di Washington Square Park alcuni dei momenti più riusciti di “Harry ti presento Sally” (sempre frequentatissimo il ristorante “Kat’s Delikatessen” quello della scena del finto orgasmo dove sulle pareti campeggia ancora la scritta “Voglio quello che ha preso la signorina…”) e di “The Family Man”, rispettivamente i film migliori di Meg Ryan e Nicholas Cage.

Insomma qualsiasi spicchio della Grande Mela fa tornare in mente almeno uno dei nostri film preferiti e qualunque angolo di una scena iconica entra nella Hall of Fame dei set newyorchesi, basti pensare all’ultima entrata in classifica, la malridotta scalinata percorsa coi suoi saltelli folli dal Joker di Joaquin Phoenix.

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