Lanzarote si sceglie
Quando si pensa a qualche luogo essenziale, che sa di cose pure e primitive; quando si cercano tutte insieme la poesia del silenzio e del vento, la nudità della terra, la forza del fuoco e la forza del mare; quando ci si vuole mescolare agli elementi e l’andare per isole si trasforma in un viaggio verso un confine ultimo che riconduce al respiro stesso della natura, ecco che prima o poi lo sguardo cade su una fotografia, un libro, un sito web o un documentario che racconta di Lanzarote. E fatalmente si prende quel volo.

Lanzarote da Lanceloto a Patrimonio naturale dell’Unesco
Quest’isola Canaria scoperta nel 1312 dal marinaio ligure Lanceloto da cui prese per sempre il nome sulle mappe dei naviganti ha una forma di bellezza tutta sua, che è abbagliante, estraniante, molto selvaggia; richiama più i viaggiatori che i turisti; rifiuta le banalità, gli edonismi e le definizioni dei depliànts ma una volta capita seduce per sempre, soprattutto chi ama le escursioni, le camminate, la fotografia, il giardinaggio, l’arte, il surf.
Lanzarote non a caso è stata dichiarata Riserva della Biosfera dell’Unesco dal 1993 e chi ci arriva ha una certa sensibilità, ama tutti i suoi elementi, cerca la luce, i colori, i paesaggi africani, le spiagge lunghe e silenziose, le onde fredde dell’oceano, le lagune colorate e insieme i vulcani e i cactus.
Lanzarote e il ricordo del fuoco

Si comincia col fuoco perché la storia di Lanzarote è segnata dal fuoco e tutto il suo paesaggio è stato modellato dal fuoco. Durante l’eruzione del 1730 che durò circa una settimana fiumi di lava dal nerissimo Cràter del Cuervo arrivarono ovunque, fino a fondersi con le scogliere, resero a seconda dei casi fertili i terreni, lunari i paesaggi, netti e distinti i colori e eterna la sua bellezza. Oggi la prima tappa obbligata è quindi il Parco Naturale del Timanfaya e delle Montanhas del Fuego coi suoi 300 coni vulcanici. Scoprire il vulcano, salire sul vulcano, guardare l’orizzonte di lava e cenere della grande eruzione come se si fosse davanti a un cratere lunare appunto, magari sfruttando la prima luce morbida del mattino che rende rossi come il rame e neri come la pece i pendii, le vette e i calanchi. Per lunghi tratti non si può scendere dai comodi pullman-navetta perché è vietato calpestare l’inferno brullo e pietrificato, però poi ci si consola col tratto percorso a dorso di dromedario e gustando dai panorami più alti il galletto cucinato sui vapori emessi dal vulcano.

La magia prosegue con la visita di Yaiza, il paese sotto il vulcano dove conviene dormire un paio di notti e assimilare fino in fondo lo scenario africano, da sud del mondo. A tratti sembra di stare a Marrakech, con le palme, gli hotel e i ristoranti di charme ispirati ai riad, la terra di vari colori, i mercati; e a tratti in Andalusia, con le casette bianche sullo sfondo ocra, i patios fioriti, la luce calda, le gallerie d’arte, le notti di musica e tapas. Poco lontana si scopre la suggestiva valle di La Geria dove le genti di Lanzarote hanno sempre faticato per ottenere dalle singolari piante di viti nane un dono unico al mondo: un ottimo vino malvasia, un miracolo che nasce in pozze di terra lavica protette dalla cenere di secoli e dagli alisei grazie ai loro muretti a secco. Al tramonto questa scena sembra un quadro.
Lanzarote ha un’anima di terra

Più a nord il fuoco lascia lo spazio all’elemento terra, la terra della campagna di Teguise, la terra e le piante del meraviglioso Jardin de Cactus oppure le mille palme nel municipio di Haria, piantate nel XVII sec per celebrare la nascita di ogni bambino. Teguise Pueblo – da non confondere con la località balneare di Costa Teguise che insieme al centro mondano di Puerto del Carmen e al capoluogo Arrecife trascuriamo volentieri – è l’anima dell’isola e può essere il punto base per scoprire anche Lanzarote nord perché si trova al centro esatto dell’isola.

Teguise racconta coi suoi scorci poetici storie di fatica, di contadini, di gente abituata a badare agli orti o a guardare i vulcani. E’ stato uno dei primi villaggi fondati in tutte le Canarie e per questo a ogni passo, muro, campanile, convento, bottega, piazza si respirano le tracce del passato e la cultura della terra. Accecati dalla sua luce bianca che emerge per contrasto dalla terra marrone, ingolositi dalle sue trattorie che servono capretti arrosto, pesci in umido, formaggio di capra, salse ai peperoni, dolci a base di marmellate di cactus e gran finale col rhum al miele, conviene capitarci di domenica perché è il giorno del mercato artigianale e di sicuro i souvenir più autentici così come bizzarri giardini e atelier di artisti li troverete tra questi vicoli.

El Jardin de Cactus è un altro dei segreti di terra e una delle meraviglie dell’isola: situato in località Guatiza, disegnato in una cava di lapilli e costruito su terrazze circolari è uno di quei motivi che ti spingono a girare Lanzarote con una jeep o una moto e a fermarti dove l’arte e la natura si incontrano in un connubio incredibile. Ospita oltre 1.400 specie di cactus mondiali, alti da 2 cm a 25 metri, provenienti dalle lande del Sudamerica come dall’interno del Madagascar, un record nel suo genere e un piccolo paradiso per gli appassionati di botanica e di piante grasse. Il grande effetto della scena è assicurato dal contrasto incredibile dei colori: la terra mora e le piante verdi, sullo sfondo un cielo azzurro e l’imponente sagoma del vulcano.
L’aria di Lanzarote disegna sempre nuovi orizzonti
Dopo un caffè nel pittoresco mulino del giardino e una visita alle piantagioni di aloe vera che Lanzarote esporta in grandi quantità sottoforma di prodotti estetici o farmaci per via delle sue note proprietà rivitalizzanti, antiossidanti, lenitive e cosmetiche, si può proseguire verso El Mirador del Rio dove l’elemento principale diventa l’aria perché ci si ritrova davvero immersi nella purezza dell’alto, tra le nuvole.


La costruzione non va intesa come un banale punto panoramico che permette tra l’altro di ammirare il braccio di mare (da qui il rio, il fiume) che separa Lanzarote dalla quasi desertica Isla Graciosa frequentata dai subacquei, è piuttosto un capolavoro di bio-design ideato con tocchi superbi, sfruttando i punti di fuga naturali del paesaggio con l’effetto finale di rimanere integrato e assorbito nel paesaggio stesso. L’ennesimo incanto di Lanzarote che permette quassù di sentirsi sospesi nell’aria, tutt’uno con l’orizzonte, col deserto e con l’oceano che catturano l’occhio dalle grandi vetrate e dalle terrazze panoramiche.
L’aria dell’isola è anche quella dei suoi venti: specie in inverno a Lanzarote il vento è l’unica cosa che spesso si sente e si muove, muove gli arbusti, le onde del mare, le girandole di ferro (chiamati qui Los Juguetes del Viento) che insieme a delle sculture surrealiste segnalano le attrazioni turistiche agli incroci delle strade. E accompagna il volo dei gabbiani sulle spiagge e sulle scogliere, dei corvi sui crateri, delle upupe nelle campagne.
Lanzarote e lo spettacolo dell’acqua
Ma siamo in un’isola e come in ogni isola l’elemento più cercato e atteso è per forza quello dell’acqua, del mare. Il posto per goderselo al massimo si trova alla punta sud, nell’abitato di Playa Blanca, che ha subito le metamorfosi tipiche di tanti paesini baciati dal sole e dal mare in una qualsiasi isola del Mediterraneo: prima villaggio tipico di pescatori, un anno dopo l’altro, un bar dopo l’altro, un locale dopo l’altro, ecco che diventa col suo lungomare animato un simpatico centro di movida e di divertimento, forse il soggiorno migliore per i giovani a Lanzarote. Anche perché da qui partono i traghetti per Fuerteventura dove si sbarca a Corralejo, paese “gemello” che si sorregge sul turismo alternativo, sulla magia delle altissime dune e sulle feste dei surfisti. Ma soprattutto perché da qui, con navette, con biciclette, con taxi d’acqua o splendidi percorsi di facile trekking si raggiungono le meravigliose e dorate Playas del Papagayo che sicuramente sono il punto mare più bello e più caldo dell’isola. L’Oceano fa anche rilassare, andateci senza orari e magari con due birre da bere davanti al tramonto che dipinge il cielo di arancione e di viola.

La laguna colorata
Un ritorno nella parte nord di Lanzarote permette di concludere questo favoloso viaggio nel nome dell’acqua. La Laguna Verde, in località El Golfo, poco sotto il Mirador, è un luogo da stropicciarsi gli occhi. Per i colori, i contrasti, il verde dell’acqua, la scogliera bruna, i ciottoli neri della spiaggia, la terra rossa, il mare blu, la schiuma bianca delle onde.

Farete 100 foto almeno e camminerete su scogliere di lava. A livello scientifico la laguna è stata generata da un antico cratere vulcanico sprofondato sotto il suo peso, nella cui cavità è confluita l’acqua marina. In seguito gli organismi vegetali marini e le alghe hanno potuto prosperare nel lago grazie alla presenza dei sali minerali e gli hanno dato il tuo tipico colore verdastro e la patente di ecosistema delicatissimo: qui non si può fare il bagno.
Il fascino selvaggio di Playa Famara

Pochi km vi separano a questo punto da Playa Famara. Non ci arrivano in tanti ma è un luogo dal fascino estremo che ricorda Chiaia di Luna a Ponza quando non c’è nessuno. Una spiaggia lunga 6 km e vuota, con l’oceano che ruggisce, la parete di roccia alta e impervia, una luce bellissima. Ci si deve andare per forza, anche solo per guardare i surfisti emergere dalla schiuma al tramonto o mangiare un ottimo pesce alla brace in una delle poche taverne presenti. Famara è un inno al mondo selvaggio di Lanzarote, è come la scogliera irlandese di Moher che si inchina davanti alla potenza e alla solitudine dell’Oceano e per questo motivo si può scegliere come l’addio più giusto a Lanzarote.
La poesia dei Jameos de Agua

Famara o la cartolina estetica di Lanzarote, Los Jameos de Agua, una specie di giardino delle delizie che è una perfetta fusione tra il mondo naturale e quello artificiale. Non è facile definire bene cos’è questo “Buco nel tetto”: un incrocio tra un’oasi e una grotta sotterranea, un patio andaluso imbiancato a calce con piscina rilassante incorporata, un ristorantino romantico nel ventre della terra e una sala da concerti dall’acustica eccezionale. Tutto nasce da un percorso naturale creato da un tunnel lavico con dei fori nella parte alta che causano giochi di luce e ombra e un habitat per piante, ruscelli e granchi albini ciechi (!!). Ma l’uomo è evidente che ci ha messo la mano, in modo geniale.
Il quinto elemento
Chi ha costruito la favola dei Jameos de Agua, il Jardin de Cactus, il Mirador del Rio come le poetiche girandole del vento? Chi ha espresso al meglio l’identità dell’isola e ha donato ai suoi stessi abitanti consapevolezza ambientale e un amore fortissimo per le proprie origini? Chi ha celebrato le vite e i mestieri più semplici e tutti i paesaggi canari grazie al Monumento del Campesino o alla galleria di dipinti ancora conservati nel Castillo San Jorge?

Chi può essere con tutti gli onori ricordato come una sorta di Mirò locale? L’artista Cesàr Manrique, così poliedrico e visionario che ha plasmato con la sua anima tutta la vita dell’isola. Nella Casa-Museo della Fundaciòn si possono scoprire anche i suoi quadri, le sue sculture, i suoi scritti, tutte le forme di quella che è stata chiamata “Land Art” per la sua incredibile capacità di legarsi al mondo della natura. L’ultimo dono di Manrique alla sua isola è stato l’icona del diavoletto, simbolo di fecondità, dei vulcani e delle danze ancora ballate nel Carnevale delle Canarie.
Houellebecq e la fuga nella metafisica
Ma anche altri importanti esponenti della cultura europea hanno raccontato con grande passione tutti gli elementi di Lanzarote, cominciamo dall’ultimo, il più eretico, il più irriverente: “La strada di Teguise perfettamente rettilinea, si allungava in mezzo a un deserto di pietre rosse, nere e ocra. Per quasi un chilometro davanti a noi si allargava una distesa di rocce nere ed aguzze; non c’era niente di vivo, né una pianta, né un insetto, niente.

Le uniche alture erano, in lontananza, quelle dei vulcani: la loro presenza massiccia aveva qualcosa di stranamente rassicurante. La strada era deserta, e noi procedevamo in un silenzio assoluto. Sembrava di essere in un western metafisico.” – scrive Houellebecq nel romanzo “Lanzarote” che nel solito stile provocatore e audace del romanziere e saggista francese racconta il forte bisogno di fuga dal quotidiano, di ricerca di un luogo spirituale dove dedicarsi al passatempo preferito: il sesso di gruppo sotto il vulcano, sulla terra nuda e brulla di paesaggi marziani. E’ la “possibilità di un’isola”, il perdersi nelle sue “particelle elementari” – guarda caso questi sono i titoli di due suoi romanzi successivi – che permette all’uomo moderno di vivere un’avventura catartica e di salvarsi così da un mondo alienato.
La memoria di Saramago
Il tributo finale al racconto di Lanzarote, alle intense emozioni e nostalgie che provoca, avviene però nella campagna quasi nascosta di Tìas, nella “Casa fatta di Libri” di Josè Saramago, il Premio Nobel portoghese che scelse l’isola come luogo di volontario esilio negli ultimi venti anni della sua vita.
Il vecchio ormai rugoso e chino portava i suoi grandi occhiali e i suoi abiti neri a percorrere volentieri ogni sentiero di Lanzarote, sotto una luce calda e forte, verso quei vulcani addormentati e malinconici, depositari di storie segrete. E li abbracciava, grato, in un incontro epico, lui che più di tutto preferiva la terra e la pietra. Questa la sua testimonianza dolce e poetica: “Lanzarote anche quando ci sembra inquietante, minacciosa, mostra una certa aria di dolcezza femminile…la stessa che, malgrado tutto, avrebbe avuto Lady Macbeth mentre dormiva.” E ancora: “Il piacere profondo, ineffabile, che è camminare in questi campi deserti e spazzati dal vento, risalire un pendio difficile e guardare dall’alto il paesaggio nero, scorticato, togliersi la camicia per sentire direttamente sulla pelle l’agitarsi furioso dell’aria, e poi capire che non si può fare nient’altro, l’erba secca, rasente al suolo, freme, le nuvole sfiorano per un attimo le cime dei monti e si allontanano verso il mare, e lo spirito entra in una specie di trance, cresce, si dilata, manca poco che scoppi di felicità. Che altro resta, allora, se non piangere?”. (da “Quaderni di Lanzarote”)
È esagerato dire che questo pezzo di luna nel mare almeno un po’ si deve meritare?

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