Il promontorio dell’ondina
Il risveglio a Rudesheim è bellissimo: la nebbiolina che sale dal fiume, i vicoli con le case a traliccio dove la sera prima l’abbiamo passata fra vino e canzoni, i ragazzi tedeschi che aspettano il battello per andare a scuola o inforcano la bici per raggiungere qualche posto lungo la valle. L’odore del pane dai primi forni aperti, i balconcini coi fiori, l’acqua delle fontane, pochi passi sul selciato.
Il sole esce il tempo di una colazione all’aperto, la sirena del Reno adesso è davvero vicina, basta raggiungere con la nostra mini crociera la vicina Sankt Goar sulle cui alture sorge la Fortezza di Katz.



A valle di Coblenza, il fiume è sempre largo ma è circondato da alte pareti di roccia, costellate di castelli, a guardia perenne. E’ il fiume delle leggende, dell’oro dei Nibelunghi e delle Valchirie, di Richard Wagner e di Eichendorff. Dei vagabondaggi di Goethe. E lì dove si stringe di più, si innalza a 130 metri la rocca di Lorelei, ondina maliziosa del Reno.
Il suo nome, dal celtico e dal dialetto locale, sta a significare “roccia che mormora”. In termini pratici, se non si vuol sognare e non si crede ai folletti, è una zona in cui il canyon produce, grazie all’eco, interessanti giochi acustici. Nello stesso luogo, molte sciagure e naufragi furono causati dalla corrente, fortissima in quel punto, e da una serie di rocce presenti appena sotto il pelo dell’acqua. Se, invece, si amano le leggende, si pensa al canto delle sirene di Ulisse, e ad una sua originale derivazione sassone: Lorelei. Colei che, secondo la leggenda, attirava i marinai con il suo canto seducente e li spingeva all’inevitabile naufragio. La Sirenetta del fiume dal canto malinconico che, fuggendo da una spedizione punitiva mandata da un re che a causa sua aveva perso il figlio in quelle acque, cavalcò un cavallo di schiuma e andò a riposarsi per sempre sul letto del fiume.
Oggi, la pur scarsa urbanizzazione dell’area coi suoi rumori minaccia il mormorio, l’eco tra le rocce, il canto, il mistero, la poesia stessa. Probabilmente questo posto appena 50 anni fa era ancora il Paradiso della Germania. Finito il sogno, restano due linee ferroviarie, sui due lati del fiume, con treni che sfrecciano veloci verso nord, a frequenza elevatissima, due strade non troppo larghe, e centinaia di chiatte, guidate da marinai più pratici che romantici, che non temono più la potenza seduttrice dell’Ondina. Resta solo il poema scritto da Heinrich Heine che riprese quello originale di Brentano e il Terzo Reich non poteva cancellarlo, era troppo popolare. Hitler per sfregio lo etichettò come scritto da un autore sconosciuto: non poteva accettare che una delle principali leggende teutoniche fosse nata dalla mente e dalla penna di un ebreo.
Un’altra piacevole sosta è da compiere al castello bianco di Stolzenfels, circondato da una macchia di bosco. O a Marksburg, forse il più bello per storia, arte e giardini, spesso location di feste medievali. O a Liebenstein, il più in alto di tutti. Meglio se si trova il tempo per vederli tutti e tre ovviamente!
Elegante e verde, Coblenza
E siamo arrivati alla città-simbolo del Reno, dove il grande fiume si congiunge alla Mosella e un Monumento celebra l’incontro delle acque che da qui in poi scorreranno verso una delle zone più moderne e industrializzate della Germania, quella di Colonia, Dusseldorf e Duisburg.
Coblenza merita almeno una notte e una lenta visita al suo centro storico, al suo castello e alla sua fortezza panoramica. Tra ponti e prati, piazze e mercati si raggiunge comodamente il Deutsches Eck, l’angolo dell’incontro dei due fiumi. Una sosta gastronomica a base di vino, arrosto con crauti e strudel di mele faranno il resto.

L’ultima sosta sul “vero” Reno è nella piazzetta di Bad Honnef che ha più carattere di tutta Bonn messa insieme. Un paesino pulito, salutato dai traghetti, con le stradine linde e fiorite, le case col tetto a punta, le cantine allegre. Germania minore la chiamano, ma è quella che mi è restata più dentro.
Le grandi città sul Reno
Poco dopo arriva Bonn, ci sono passato un paio di volte per un corso di germanistica. E’ un posto che non mi entusiasma, mi intristisce un po’, e se non ci fosse il Reno sarebbe un dramma.
Fondata dai Romani col nome di Castra bonnensis, di Fort Bonn rimane ben poco. Era uno dei più grandi accampamenti fortificati ai confini dell’impero: oltre il Reno, fiume che ha nell’etimologia il verbo scorrere, c’erano i barbari. Sul lato orientale del grande fiume i Romani presero scoppole a non finire, e si attestarono sulle sue rive, sulla difensiva.
A Bonn in sostanza finisce la magica valle. E inizia la geopolitica. Che la fece capitale della Germania del secondo dopoguerra, il colosso raso al suolo e umiliato. Fu scelta perché Adenauer era di queste parti o magari perché si volevano evitare Amburgo o Francoforte che erano troppo grandi per quella che avrebbe dovuto essere una capitale solo temporanea di una Germania divisa?
Nei fatti lo divenne e ospitò il parlamento, i servizi, i politici, ingrandendosi sulle due rive del fiume, oltre le aspettative. Una specie di piccola Londra sul Reno che si allargava e fagocitava nel minuscolo tessuto urbano i villaggi confinanti. Ma anche, giocando come fanno i tedeschi col suo acronimo, una Bundeshauptstadt ohne nennenswertes Nachtleben, ovvero una (ormai ex) capitale federale senza una vita notturna degna di nota. E, in effetti, hanno ragione. Alle nove di sera, tira un’aria frizzantina, le vetrine sono ancora illuminate, così come i pochi monumenti, ma è tutto chiuso e gli studenti universitari si rinchiudono nelle birrerie. Neanche c’è la possibilità di riscaldarsi con un po’ di gluewein.
Ora che la rivedo dopo gli anni in cui bene o male era il centro politico della Germania mi fa un po’ malinconia, perché una volta che quasi tutte le strutture e i palazzi del potere sono stati trasferiti a Berlino, dopo la riunificazione e un lungo dibattito, Bonn si è al massimo riciclata come hub delle organizzazioni internazionali, tutte presenti negli alti grattacieli con vista sul Reno. Da uno di questi il fiume lo noto in tutta la sua maestosa bellezza. Lo vedo splendere arancione al tramonto e spuntare sempre solenne e carismatico dalla nebbia la mattina.
A nord svetta la cattedrale di Bonn. Il fiume è già più trafficato e inquinato e pochi chilometri più in là, appena oltre Colonia, il panorama è costellato di infinite ciminiere, pennacchi vaporosi e venefici di fumo bianco. La Rivoluzione Industriale europea ha modificato il paesaggio e la skyline della Ruhr, lì dove decine di autostrade si incrociano, dove gli atlanti geografici sono un’enorme macchia urbana continua.

Sul lungofiume di Bonn si passeggia tra gabbiani, chiatte e gente che corre e va in bicicletta, tandem, skateboard, bici orizzontali, pattini, e chi più ne ha più ne metta. E’ di sicuro lo scorcio più bello che Bonn ti può regalare, perché ha troppo poco da offrire in centro. Anche se i suoi negozi sono impeccabili, molti tematici: ne puoi trovare uno che vende solo le caramelle a forma di orsetto, un altro che ha forbici, rasoi e tagliaunghie di ogni tipo, uno che osa vendere solo pipe.
Ma non c’è niente di antico, niente che abbia più di sessanta anni. Qualche edificio ricalca, in cemento, lo stile e le decorazioni delle case a graticcio che non ci sono più. Un esempio di bastione difensivo e di porta di accesso al centro è stato penosamente ricostruito, vicino alla cattedrale che si slancia, con forme gotiche, nel cielo, per far capire come era un tempo. Nelle piazze principali ci sono le bancarelle dei mercati. Nota di merito solo per il lungofiume appunto e per il superbo stinco di maiale che mangio nel locale più vecchio della città, datato 1389, e totalmente restaurato dopo il 1945, proprio accanto al municipio. Un’orgia di zampe di maiale, wurstel e frutti di bosco. E stavolta con due boccaloni di birra.
Non resta che recarsi nella piazza più ampia e rendere omaggio alla statua di Ludwig van Beethoven, il genio tormentato che a Bonn deve i natali. In giro noto qualche testa rasata di troppo rispetto alle contadinelle, ai barcaioli e ai ragazzi in bici della valle del Reno E’ quindi l’ora di andare.

Il Reno si allarga nuovamente a sud di Colonia, città grande, commerciale, dinamica, mi dicono soprattutto durante il festoso Carnevale che non conosco ma comunque piena di vita rispetto alla stessa Bonn. A Colonia serve almeno una lunga giornata a piedi per scoprire il Duomo, le sue sponde in battello, la lunga strada centrale dello shopping, la sua opulenza, fino agli edifici e ai ponti strabilianti di modernità. Notte in disco e addio pace del Reno tra i giovani scatenati di Colonia!
Quello che resta del fiume in territorio tedesco sa sempre più di industria, di altoforni, di acciaio e di fumo (Duisburg, francamente evitabile) e di modernità e di futuro (Dusseldorf, che è il paradigma dei tempi nuovi del Reno, con la sua torre altissima della TV). Ecco, a Dusseldorf ho sentito più che altrove l’immagine della Germania potente, forte, ricca, un po’ arrogante. Quella che comanda l’economia europea, quella che gira coi macchinoni, quella delle modelle altezzose, delle vetrine esagerate. Le ho preferito una piccola deviazione studiata a tavolino per assistere a una partita del Borussia a Dortmund, più operaia, più sanguigna, più popolare. Curva giallo-nera da brividi, anzi che curva, un muro altissimo!!


Il Reno finisce in Olanda
Confesso che ci ho pensato: dove il Reno si mimetizza con nomi e corsi diversi, il Lek, il Waal, l’Issel, dove si mischia alle campagne coi mulini, ai lunghi canali, agli sbarramenti delle dighe, dove la sua acqua ormai marroncina o grigia rende comunque molto fertili i polder, dove infine si butta nel Mare del Nord, ecco che cambia nazione e secondo me a qualcuno questa storia non va a genio.
Ce li vedete i tedeschi così orgogliosi, così seri, a vedere dopo 800 km sul loro territorio il fiume delle loro leggende, delle loro valli, dei loro miti scegliere l’Olanda per fondersi col mare? L’anarchica Olanda dove il fiume si sparpaglia in modo altrettanto anarchico?
L’ultima scena del lungo viaggio è quindi Rotterdam, il porto più grande d’Europa, la città delle architetture moderne, dei ponti, dei colori, dei container.
Il resto è l’immenso delta e basta.

Non ci sono Commenti