Eternal Moment

Ognuno di noi le rappresenta probabilmente con l’idea stessa del sogno: esiste qualcosa di più puro e incantato, circondato dal mare e dal silenzio, dove si abbandona il ritmo frenetico della vita, del lavoro, del traffico, della tecnologia, della competizione e ci si rimette al mondo galleggiando pigri sull’acqua azzurra, indossando un pareo, un paio di infradito (a volte) e guardando un tramonto? Chi lo ha visto questo paradiso ha la sua isola del cuore, il suo panorama, il suo eternal moment da conservare o da raccontare. E la sua persona amata da custodire.
Difficile fare una classifica di luoghi, piuttosto di sensazioni: percepire con stupore dopo qualche giorno che il tempo rallenta e che si accetta volentieri questo rallentamento, accorgersi che non c’è un semaforo, un clacson, un tubo di scappamento eccetto che nella caotica capitale, uno dei luoghi a più alta densità abitativa del mondo. Svegliarsi o addormentarsi col rumore delle onde, del vento, o di un cocco che cade, ascoltare solo il canto degli uccelli, guardare per ore i fondali colorati, impegnarsi da turista nell’attività più faticosa del giorno che è la scelta del paguro col quale vincere la corsa sulla sabbia e relativo aperitivo.


La scelta del paguro
Attenzione al riguardo perché la dimensione del carapace spesso inganna…
Atollo di Male sud, le mie prime Maldive, l’animatore che organizza la gara dei granchi con la corazza. Impiego un pomeriggio intero tra il bagnoasciuga e le tane sulla sabbia nascoste dalle mangrovie per cercare l’animale più grosso, più potente (illusione!), più vorace, quello che posto al centro di un cerchio avrebbe sbranato gli altri, sarebbe passato sopra ai piccoli paguri, li avrebbe schiacciati, avrebbe raggiunto per primo la circonferenza permettendomi di sbeffeggiare le bestioline gracili gracili scelte dai turisti avversari. Macchè… si solleva il secchiello e il mio goffo Godzilla rimane impantanato nella sabbia, prova a muovere a fatica una chela, rientra nella sua casetta e resta fisso lì dentro, umiliandomi. Vince un granchietto insignificante e leggerissimo, l’aperitivo diventa l’aranciata del bambino più sveglio del villaggio, io rimugino sulla scelta fatta e mi consolo con due ore di snorkeling tra i pesci pagliaccio. Se vi capiterà di partecipare alla corsa del paguro non ditemi che non vi ho avvisato!!


Qualche numero
L’arcipelago delle Maldive è abitato da 400.000 persone (più uomini che donne) e si compone di circa 1190 isole coralline suddivise in 26 atolli naturali, alte al massimo 3 metri slm, abitate soltanto per la loro quinta parte e con spiagge o lingue di sabbia che dipendono strettamente dall’azione dei venti e del mare. Della serie: nello spazio vergine dell’Oceano Indiano su alcuni lembi di terra si crea naturalmente una geografia da paradiso, con le palme, l’acqua turchese, la spiaggia bianchissima, altri isolotti restano invece senza sabbie o lagune a ospitare solo la fauna e la flora locale e non i turisti che semmai li avvicinano a nuoto o in barca.

La parola Atollo deriva dall’unico termine maldiviano che abbia fatto il giro del mondo, ovvero atholhu e significa “isola lagunare”. Visti dall’alto ti lasciano a bocca aperta. Tutti gli atolli si raggiungono dalla capitale Malè, dove le case non hanno numeri civici ma sono segnalate da un pittoresco cartello in inglese con nomi che tradotti suonano come “melo selvatico”, “azzurro brillante” e “intensa calura”. Nella sola Malè vivono circa 130.000 abitanti in appena 2 kmq e il 30% di loro ha meno di 15 anni, come dire: le isole del futuro saranno dei giovani.
Qui vige il caos, di persone, traffici, spedizioni, barche. Malè sembra un mega container, troppe auto brulicano su uno stradone interrotto da dieci semafori. Nelle case microscopiche abbondano i letti a castello. Attorno a lei isolette naturali e artificiali, comunque tematiche: quella dei rifiuti, delle prigioni, delle caserme, del petrolio, degli orti, delle feste. Più lontane, nel blu, le isole quasi vergini dei locali e i cento e passa paradisi di bungalow over water e ville lussuose, tutti costruiti con materiali edili provenienti dall’estero e alimentati e viziati da cibi e bevande che arrivano da lontano. Non a caso i resort sono dati in affitto per 25 anni a multinazionali quasi sempre straniere.
L’Obama delle Maldive
Il paese specie con l’ex presidente democratico Nasheed, il primo liberamente eletto nel 2008, capace una volta di convocare un consiglio dei ministri subacqueo (!!), di recente scampato a un attentato dovuto ai suoi anni di lotta per i diritti umani e contro tutte le forme di corruzione, si è affidato a uno sviluppo sempre attento alle condizioni ambientali e inquinanti. La scommessa è stata quella di affiancare ai nuovi resort una profonda consapevolezza ambientale (lo sanno tutti che con una politica troppo ostile al clima le Maldive prima o poi rischiano di affondare…), che evidentemente ha calpestato alcuni interessi più potenti e più ingordi o dei nostalgici integralisti dei tempi della dittatura.
Chissà ora cosa capiterà, che politica vincerà. Forse i maldiviani avranno nostalgia del giovane presidente sognatore, quello che combatteva tenace contro la diffusione delle droghe afgane e pakistane, che difendeva ogni banco di corallo e ogni credo religioso e il cui libro preferito era “Il barone rampante” di Italo Calvino. Arriveranno i cinesi anche qui… o nuovi e pericolosi profeti? Al posto di chi aveva fatto dello “Stay in touch” il suo motto liberale e della ricerca di fonti di energia rinnovabile la sua mission politica?

Le Maldive di Dio
Chi non è musulmano non può ottenere la cittadinanza nel paese sparpagliato nel mare. L’islamismo ha sopraffatto il buddhismo anche a livello architettonico (sono sorte le moschee sopra i resti dei templi buddhisti) e il motivo è insieme storico e religioso e risale al salvataggio di una giovane da parte di un erudito islamico che visitò le isole in un tempo in cui i nativi erano terrorizzati da un demone marino che esigeva sacrifici umani.
Oltre alla devozione per la fede islamica i maldiviani sono molto superstiziosi e credono in creature soprannaturali come i Dhevi (l’assonanza fonetica con l’inglese devil è evidente…) che sotto forma di lunghe ombre o giganteschi marlin neri in mezzo al mare possono aiutarli o ostacolarli nei loro disegni di vita. Il capo di tutti i Dhevi si chiama Buddevi e chi lo “vede” sulla terraferma dopo i temporali secondo le credenze popolari cade vittima di una malattia. Su molte isole dell’arcipelago si celebra la ricorrenza religiosa di Eid al-Adha, con le sfilate di maschere di spiriti e demoni, costruite a base di legno di palma mentre visi e corpi si decorano con pasta di cenere nera.


Il tesoro delle palme
Gli abitanti locali amano quei tronchi esili, quelle foglie libere che ondeggiano ribelli al sole e al vento: nelle isole più belle le palme da cocco sono un elemento fondamentale del paesaggio. I ragazzi ci si arrampicano a piedi nudi, scuotono i cocchi per farli cadere a terra ed estraggono dai loro fiori un liquido che fermentando dà vita a una bevanda alcolica che in questi puntini del grande blu chiamano ovviamente vino di palma. Mi hanno spiegato che anche per questo il valore di un’isola si calcola più che per la bellezza e la lunghezza delle spiagge o la trasparenza dei suoi fondali per il numero di palme da cocco presenti! Il mito della roba, della morale verghiana in mezzo all’Oceano Indiano!

Vita quotidiana
Sorvolando il mare maldiviano le isole più abitate si distinguono dalle altre per l’alta antenna delle telecomunicazioni che gli permette in qualche modo di restare connesse al mondo. La vita in questi luoghi sperduti nel sole e nel blu è lentamente scandita dalle battute di pesca, dai riposini sulle amache, dalle partitelle di bashi (una specie di tennis), dai piccoli commerci e dalle tenaci coltivazioni di angurie, verze, zucche, peperoncino, melanzane, patate, fagioli, cipolle.
Solennemente scandita invece dai 5 rituali canti al giorno dei muezzin che dal minareto di minuscole moschee spezzano l’incantesimo della natura e il silenzio delle onde.
Cosa fanno i bambini

Quando piove alle Maldive i bambini abbandonano subito la scuola, la preghiera o i campi da calcio (e hanno delle divise per tutte e tre le occasioni) per andare nelle loro capanne a prendere le bacinelle per la raccolta dell’acqua. Il bene primario, assoluto, anche qui, come se fossimo in un arido paese africano o in un deserto senza oasi.
Sempre sui bambini: nonostante le distanze, le difficoltà, l’isolamento causato dal mare, il 98% di loro possiede un’istruzione di livello medio basata su arabo, inglese, lingua locale, aritmetica e religione coranica. I piccoli sono anche protagonisti di un rito meno felice: purtroppo o per fortuna in tanti poveri villaggi si scatenano quasi delle risse per accaparrarsi i resti alimentari provenienti dai vicini resort che in genere vengono consegnati all’ora del tè pomeridiano e loro sono lì che eccitati si spingono, si azzuffano, cercano la porzione più golosa di frutta, di riso, di pesce. Nel guardarli il pensiero è soprattutto uno: gli basterà vivere mezzi nudi in questo paradiso? E lo sanno che vivono in un paradiso oppure è solo una nostra percezione da ricchi occidentali? Il loro sogno sarà restare qui, ad arrampicarsi sui cocchi, a prendere il largo su una barca, ad ascoltare il muezzin? La loro ambizione li porterà lontano nel mondo o a cercare lavoro in un resort? Senza Nasheed che voleva tutelare al meglio la maternità e le pensioni, sviluppare migliori ospedali e la prima Università delle Maldive, sistemare le fogne e rendere pubblici i vari traghetti ce la faranno a crescere contrastando le multinazionali? Le nuove forme di avidità e di sfruttamento? O dovranno limitarsi a pescare il tonno per il sushi dei giapponesi e a riassettare le camere dei villaggi turistici guardando i loro tramonti da un leggero pontile?

In barca a vela
Se vi capita fatela, ad occhi chiusi. Nella classica settimana in un resort a volte è possibile abbandonare il comfort dell’all inclusive e scegliere di stare un paio di giorni fuori in barca a vela, a respirare l’Oceano, a godersi il Paradiso dentro il suo elemento essenziale, il mare. Si toccano atolli disabitati, si avvicinano reef meravigliosi, si conoscono comunità locali e il sole e l’avventura fanno il resto. Durante un’immersione ecco vicina la sagoma enorme ma innocua di uno squalo balena, durante la cena notturna nel pozzetto ecco le stelle più luminose che mai. Senso di gratitudine, di appagamento, di libertà. Quella che solo il mare sa donare.

L’altro lato dei Resort
Proviamo a fare un elenco, di comforts, di esperienze, di soluzioni new age: le spa orientali e specializzate in massaggi thai e i ristoranti gourmet che servono carne australiana, uova di Singapore, patate dall’India, frutta e verdura sudafricana o dello Sri Lanka e champagne francese; i cinema all’aperto e le case sugli alberi, le favolose camere-acquario e le suites da 3.000 euro a notte, i reef adottati dai resort più ecologici o quelli troppo sfruttati per pompare l’acqua nelle piscine; bar che inventano 50 cocktail diversi ogni giorno, le infinity pool e i piccoli sottomarini per esplorare meglio i fondali, gli arredi minimal o quelli kitsch, le ore sulle chaise longue, lo yoga per tutti e la sensuale e quasi impercettibile filodiffusione chill out… Il bianco e il vetro, il design e le essenze, i fiori e i le palme. Tutto per i turisti ricchi, fortunati, raffinati.

E poi c’è il cartello con la scritta “Staff Only” nascosto in genere da una mangrovia e dietro di esso si apre un altro mondo, quello dei vialetti disordinati e pieni di arbusti e foglie, quello dei generatori elettrici e degli impianti di acqua potabile mimetizzati nella vegetazione, delle casupole dove dormono ammucchiati cuochi e donne delle pulizie, della cappella islamica perché così il lavoratore si sente meno lontano dalla sua famiglia e più vicino al suo dio, del deposito degli attrezzi che se potesse parlare racconterebbe di dure fatiche, della lavanderia caotica dove finiscono le lenzuola di lino insieme alle mutande degli operai, delle provvidenziali taniche di benzina per i motoscafi. Tutto meno perfetto, più scombinato e vitale della facciata “principale” del Resort.
Usanze locali
A livello di folklore e tradizioni nelle Maldive i tamburi, le danze e le canzoni arrivano dall’Africa mentre dalle regioni asiatiche meridionali sono state assorbite le ricette culinarie e gli abiti colorati. La bandiera maldiviana ha questo significato: il verde rappresenta la vita, il progresso e la prosperità; la mezzaluna rappresenta la fede islamica nazionale; mentre il bordo rosso identifica i sacrifici fatti dagli eroi nazionali durante le lotte di indipendenza. Infine una nota poetica: i maldiviani chiamano la loro terra Woden adhi Girun, “la nazione del comparire e dello scomparire”, concetto fatalista certo, ma ancora più sentito dopo lo spaventoso tsunami asiatico del 2004 che ha risparmiato queste isole…

Cosa resta nel cuore
Uno sguardo meravigliato sulla bellezza del mondo, su un pesce scintillante, su uno squalo balena che ti permette di nuotargli accanto. Su una tartaruga libera che va verso gli abissi, su una via povera di un villaggio, su un orizzonte marino. Su un’alba magica e su una notte complice. Su una fila di palme selvagge. Sui bambini in fila per il cibo.
Paradiso per tutti, paradiso per chi?
La voglia e la speranza di tornare alle Maldive mi fanno spesso chiudere gli occhi e immaginarmi ancora qui.


Non ci sono Commenti