La New York degli ultimi

Agli antipodi delle commedie agrodolci e dei sentimenti ecco capolavori come “Taxi Driver” e “Un uomo da marciapiede” che parlano di eroi solitari, alla deriva, tra le luci notturne, le devianze e i pericoli di strada di una Grande Mela piuttosto malmessa, marginale, che non aspetta i disadattati, i psicotici e gli ultimi. Entrambi i film sono stati giudicati tra i migliori 100 film americani di sempre.
Nel film-noir di Martin Scorsese Robert De Niro è semplicemente magistrale e come sempre affronta la parte dopo aver provato dal vivo le esperienze di un guidatore di taxi notturno e dopo aver studiato i tic e le nevrosi delle malattie mentali. Il suo Travis è un marine reduce dal Vietnam che soffrendo di insonnia cronica riesce a vivere New York solo in modo sordido, come in un pozzo nero, tra cinema porno, bar malfamati e squallidi night club.
Si eleva a giustiziere dopo aver imbarcato sul taxi una giovane prostituta interpretata da Jodie Foster, prova a uccidere un politico e a sfuggire al suo destino di solitario. Pare che lo sceneggiatore Paul Schrader per scrivere il film si sia ispirato alle tematiche dell’esistenzialismo europeo e a lavori come “La nausea” di Sartre e “Lo straniero” di Camus. NYC fa da sfondo perfetto alla pellicola con le sue periferie, le sue luci al neon, i suoi club fumosi.

“Un uomo da marciapiede” con Jon Voigt e Dustin Hoffman racconta ugualmente una storia di emarginazione e di uomini vinti, di ultimi e di disperati e insieme affronta alcuni temi tabù quali la prostituzione e l’omosessualità.
Il plot è abbastanza semplice: un giovane e baldanzoso texano, ridicolosamente vestito da cow boy, arriva nella Grande Mela convinto di poter sfondare come gigolò ma i suoi incontri prendono ben presto un’altra piega e aiutato da un “manager” truffaldino e storpio compie una sorta di viaggio nelle tenebre nella città dei vizi, trovando la luce solo nella sincera amicizia che nasce col derelitto compagno. Nel viaggio finale di speranza e rinascita verso il sole di Miami la morte per tubercolosi coglie il personaggio interpretato da Hoffman sul pullman. Molto belle le musiche del film.
Le bande di teppisti di NYC escono invece fuori coi loro codici, i loro scontri, i loro rituali e le loro vendette in film come “Warriors” mentre altre vicende di vinti sono raccontate in un lavoro come “Ultima fermata Brooklyn” che ritrae il quartiere più melting pot di tutta la Grande Mela con il suo wild side e la sua quotidianità violenta di prostitute, operai, criminali, sindacalisti e drag queens.

La New York delle etnie
Continua il lungo racconto cinematografico di New York e continua col ritratto delle sue etnie, delle sue storie legate a popoli, comunità, costumi, mafie, fenomeni di immigrazione.
“C’era una volta in America” ha lasciato sicuramente un segno.
Chi non l’avrebbe voluta conoscere meglio questa New York color seppia così come viene narrata nella stupenda fotografia del film di Sergio Leone? Questa New York di Brooklyn, di Little Italy, delle storie di mafia italoamericana? La musica di Ennio Morricone trasforma spesso le tre ore e passa di questo capolavoro in un’epopea e ti lascia dentro la sensazione di un rendez vous che presenta tratti forti e violenti ma anche molto poetici e romantici, perché il film non parla solo di violenza, di rapine, di criminali, di poliziotti corrotti, di stupri, di lotte operaie ma anche di valori quali l’amicizia e la fedeltà, ad ogni costo.

E ripensando alla storia della banda di ragazzini che crescono in strada negli anni ’20 all’epoca del proibizionismo diventando poi tra avventure, espedienti e con la prima conoscenza del sangue dei temibili gangster mi ricordo perfettamente il giorno che sono andato sulle tracce della locandina iconica del film, quello squarcio di possente ferro del pilone del Manhattan Bridge che spunta in mezzo agli edifici rosso mattone del Dumbo, una piccola e tipica zona di Brooklyn il cui acronimo significa appunto “Down under the Manhattan Bridge Overpass”.

(per riascoltare alcune delle più belle musiche della storia del cinema)
Indimenticabile ovviamente anche la New York anni ’30 ritratta negli episodi della saga de “Il Padrino”, specie la seconda puntata che oltre al destino da capo di Michael (Al Pacino) racconta anche la genesi di Don Vito Corleone (Robert De Niro) dal suo arrivo giovanissimo a New York alla sua ascesa al potere, ottenuta controllando con astuzia e ferocia il racket, il contrabbando di tabacchi e alcolici, la corruzione, la prostituzione e il gioco d’azzardo. E allo stesso modo il quartiere di Queens location di “The Goodfellas” – “Quei bravi ragazzi” dove si ritrovano per l’ennesima saga Scorsese, Pesci e De Niro.


“The Irishman” è un affresco lunghissimo, probabilmente il tentativo di Scorsese di ripetere il film di Leone: uno scontro tra titani (ci sono tutti i suoi attori feticcio, Robert De Niro, Joe Pesci, Harvey Keitel, più Al Pacino) che tra Little Italy e il Bronx, i villaggi di Suffern e Mineola ma anche Philadelphia e Miami, racconta le gesta di un sicario della mafia e insieme l’America della East Coast degli ultimi 50 anni. L’irlandese in questione da vecchio ricorda le sue gesta con una serie di flashback, fino all’omicidio del capo del sindacato dei camionisti, Jimmy Hoffa.
“L’anno del dragone” di Michael Cimino con Mickey Rourke girato a Chinatown tra vicoli puzzolenti, donne orientali seducenti, fumerie d’oppio, boss della mala cinese, mette in scena in maniera ruvida anche lo scontro tra due morali e due culture. Un capitano di polizia dalla vita sregolata e pieno di pregiudizi contro gli asiatici essendo reduce della guerra in Vietnam viene chiamato a porre fine alla guerra tra famiglie cinesi, con la città che subisce il terrore della Triade, la nuova generazione di gangster che vuole sgominare la vecchia. Ecco il trailer:
La New York afroamericana ha visto invece un suo abile narratore in Spike Lee che in un film come “Do the right thing” ricorda le tensioni razziali di un caldo giorno qualunque tra le strade di Brooklyn. Svolge un ruolo di forte critica sociale anche la title track dei Public Enemy, “Fight the power”, una rivolta neanche troppo mascherata contro il capitalismo, i mass media e il fallimento dell’integrazione dei giovani neri e poveri nella Grande Mela.
Vari e potenti i riferimenti culturali, da Malcom X (titolo di altro film di Spike Lee girato ad Harlem) a Martin Luther King, mentre il plot coinvolge poliziotti e neri, coreani e bianchi, e la scena dello strisciante razzismo ha come epicentro una pizzeria di periferia.

Un altro punto di vista etnico riguarda il delizioso e divertente ritratto dei greci emigrati negli Stati Uniti nella commedia “Il mio grosso grasso matrimonio greco”, girato tra taverne e tangenziali e villette a schiera del Queens. Qui più che di scontro si parla di incontro tra due culture, non privando lo spettatore del sorriso che seppellisce tutte le differenze tra i protagonisti del film. La grecità pittoresca della famiglia di Toula coinvolge fino al midollo il giovane yankee bello, alto e sportivo che la porterà all’altare tra infiniti banchetti, sirtaki e sconfiggendo con la leggerezza e i buoni sentimenti tutti i tipi di pregiudizi.

Il filone fantasy
Tanti esempi di come New York con le sue vertiginose altezze, le sue strade lunghissime, i suoi palazzi scintillanti sia la città ideale per ospitare i capolavori del fantasy, dall’indimenticato “King Kong” che nella sua ultima fuga scala l’Empire State Building a tutti i supereroi della Marvel e non solo (Iron Man, Spiderman, Batman, Hulk, Captain America, Men in Black, Ghostbusters, Transformers, Godzilla) che nelle strade della metropoli combattono le loro lotte, salvano vite, migliorano il mondo.
New York ancora una volta si ritrova al centro di tutto, anche dei viaggi più belli nel nome dello spettacolo, dello stupore e della fantasia.
E lo sappiamo tutti che oltre a seguire ad occhi spalancati i voli, le vie create con le ragnatele, i superpoteri e i salvataggi di un eroe come l’Uomo Ragno in fondo cerchiamo sempre di ammirare la dimensione verticale e sognante di New York.

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