Un paesaggio ai limiti

Un paesaggio primordiale, sempre coperto dalla neve e dal ghiaccio. Fondali marini profondi fino a 4.000 metri. Temperature che arrivano addirittura agli 85 gradi sotto lo zero. Gli Inuit che vivono nel silenzio del permafrost e grazie alla carne di foca. Gli igloo a segnare l’orizzonte. E ogni tanto, come una visione, come un miracolo, piccoli spruzzi di colore, licheni verdi, fiori viola di lilla o cespugli gialli.
Intorno al Polo Nord si sviluppa la grande e affascinante regione artica che comprende le terre ghiacciate di 3 continenti, percorse in viaggi epici soprattutto dalle volpi artiche: il Nord America, le estreme propaggini settentrionali d’Europa e quelle dell’Asia (vedi le isole norvegesi più lontane, la Groenlandia o la Kamchatka e la Siberia). I primi ad arrivare quassù furono nel 1909 due esploratori statunitensi, Henson e Peary, accompagnati da quattro Inuit, ma sulla verità storica della conquista sono sempre rimasti dei dubbi. Facciamo allora il tifo per il primo reale avvistamento del Polo Nord il 12 maggio 1926 da parte del dirigibile italiano guidato da Umberto Nobile e accompagnato dall’eroe del Polo Sud, il norvegese Amundsen. Gli altri avvicinamenti a piedi sono stati da parte di una spedizione russa nel 1948 e via mare col sottomarino Usa Nautilus nel 1958.

I nemici degli Inuit
Sparsi in territori senza fine e senza comodità vivono di pesca e caccia con l’arpione 400.000 indigeni ricoperti di pesanti pelli, che arrivano a parlare 40 lingue diverse, che non conoscono i concetti della politica, della punizione e del tabù e che vedono sempre di più i loro villaggi e le loro antiche tradizioni in pericolo, per colpa dello stesso nemico degli orsi e dei ghiacci, il riscaldamento globale. Esso è causato dall’aumento della navigazione e delle rotte commerciali, dall’estrazione mineraria, dalla ricerca del petrolio e dei gas, dagli appetiti della geopolitica (molto attiva la Russia nel controllo e nello sfruttamento dei suoi territori per esempio…), dall’aumento della pesca, dall’assalto delle microplastiche portate fino a qui dalle correnti e liberate dalla produzione tessile a basso costo e dalle lavatrici domestiche, dall’avvicinarsi delle industrie e della cosiddetta civiltà.
Gli Inuit stanno rischiando di scomparire, vanno protetti non dal freddo ma dall’alcol, dalle malattie, dal progresso e dalla solitudine. Hanno sempre disprezzato la definizione di eschimesi (“mangiatori di carne cruda”) si sono autodefiniti “uomini” (inuit, appunto) e come uomini vogliono continuare a vivere nel Grande Nord, cacciando le foche, credendo nei loro spiriti e nei loro sciamani, aiutandosi una comunità con l’altra, riposando in semplici igloo.



Il più grande predatore terrestre
Vive e caccia sul ghiaccio ma l’orso bianco è molto adatto all’habitat marino, grazie alle sue zampe palmate che hanno la funzione di pagaie, ai suoi dieci centimetri di grasso e alla sua fitta pelliccia. Può nuotare per grandissime distanze, anche per 100 km in soli due o tre giorni, ma per mangiare deve emergere e aggredire le foche, sorprendendole al riposo sugli iceberg o sui lastroni di ghiaccio isolati in mezzo ai flutti. Possiede un olfatto infallibile che gli permette di annusare le prede a quasi un miglio di distanza e ad una profondità di un metro sotto la neve compatta. Dritto in piedi fa paura, arriva fino a 4 metri di altezza, pesa fino agli 800 kg: una macchina da guerra!

Feroce e fragile
E’ furbo e intelligente l’orso polare, è feroce, sorprendentemente veloce. Ma anche poetico e fragile, quando passeggia solitario nelle immensità del bianco, quando coccola protettivo i suoi piccoli batuffoli, quando a causa del global warming e dei sos lanciati dal WWF sui media mondiali, trova meno ghiaccio e quindi meno cibo e resta spaesato. O quando sfiora il naso di un suo simile, atteggiamento che serve a comunicare la sua voglia o necessità di condividere un pasto. O quando si rotola nella neve, quasi a voler mantenere orgogliosamente bianca la sua bella pelliccia magari sporcata dal fango di un viaggio terrestre o dal sangue di un banchetto.
Il ghiaccio è davvero essenziale per il grande orso perché là le foche vanno a respirare, là ai bordi del pack si apparecchia il loro prelibato e quasi unico buffet! Questi abili predatori si sono evoluti per vivere e cacciare sul ghiaccio artico, ogni altro destino è impossibile, spiazzante. Fuori dal loro elemento sono quasi deboli, fanno quasi tenerezza e sempre di più, nelle primavere sempre più calde, si vedono mamme e cuccioli pelle e ossa, alla disperata ricerca di cibo. Devono così nutrirsi al massimo durante l’inverno (rispetto ai cugini orsi bruni infatti non vanno neppure in letargo…) e devono sperare che il gelo duri il più possibile perché l’estate il cibo scarseggia e se non mangiano non ingrassano e il grasso serve all’orso per resistere nei mesi di digiuno, il grasso serve alle femmine per partorire e allattare.
Il clima che cambia ha l’effetto biologico di una catena alimentare che inesorabilmente si spezza e se il ghiaccio diminuisce oltre alle foche e alle belughe anche le alghe marine che crescono sul ghiaccio vengono meno. E allora sono guai, dal Polo Nord all’Alaska, dallo Spitsbergen alle Svalbard fino al Manitoba canadese e alla Baia di Hudson: che fine farà l’orso bianco?

Il lupo e la volpe artica forse ce la faranno a continuare a esistere a meno 60 gradi, le civette delle nevi e le pernici bianche ce la faranno a continuare a volare nel freddo, le lepri artiche correranno ancora sui terreni impervi, i cani da slitta a fatica guaderanno suoli sempre più sciolti, le renne qualche erbetta nella tundra la troveranno ancora, senza ghiaccio l’orso polare invece si estinguerà o vivrà molto meno dei suoi 25 anni di media. Gli studi attuali sostengono che nei prossimi trent’anni perderemo il 30% della popolazione degli orsi polari. La Nasa ha calcolato che il ghiaccio marino nell’Artico si sta assottigliando a vista d’occhio e potrebbe diminuire del 13% ogni 10 anni…


E anche l’ambiente del mondo non sarà più lo stesso perché se il grande gelo, l’immenso manto bianco, generava milioni di chilometri quadrati di superficie capaci di riflettere la luce del sole e stabilizzare il clima sulla terra, la perdita della calotta non fa più riflettere il sole, che si disperde nel mare, col conseguente aumento delle temperature e lo scioglimento delle terre del Polo. Pezzi enormi di iceberg, vere montagne marine, si stanno staccando dalla banchisa e vanno drammaticamente e scenograficamente alla deriva, alcuni orsi restano su zattere di tre mq di ghiaccio in mezzo al mare infinito, a guardare solo le aurore boreali. Non c’è più tempo…

Quelli con zanne e spade
Anche loro fanno impressione perché grossi, goffi, brutti, con zanne pericolose, movimenti lenti e pigri. I trichechi si riconoscono per sesso, età e posizione nel branco proprio per via delle poderose zanne, lunghe fino a 50 centimetri e utili anche a scandagliare sul fondo marino molluschi, crostacei e alghe.
Mezzi parenti dei leoni marini sono i narvali, che nuotano in gruppi anche di cento esemplari nelle acque dell’Artico, sguainando il loro tipico dente a spirale. In Groenlandia la Nasa sta applicando sulle spade dei narvali dei sensori in modo che gli unicorni del mare, potendo immergersi fino a 1700 metri di profondità, renderanno l’uomo consapevole delle temperature e del grado di salinità delle correnti marine più profonde e della loro responsabilità nel progressivo scioglimento dei ghiacciai.
Nel mare più a nord del mondo non mancano sei specie di longevi squali che si nutrono oltre che di pesci di carcasse di foche, orsi e caribù.


(esemplari di narvali in un’immagine tratta da wikipedia)

Il grande pescatore e il grande migratore
Gli uccelli, infine. Nell’artico vivono numerose specie, molto tipiche le pulcinelle di mare, bianche e nere come i pinguini cui assomigliano anche per l’abilità nel nuoto e per l’abitudine di vivere in grandi colonie, ma con in più a ornarle un vivace becco a pappagallo e un bel paio di zampe arancioni. Rispetto ai pinguini loro però volano anche e quindi compiono mille tragitti al giorno tra mare e ghiaccio per pescare i pesci in acqua e volare velocemente dai piccoli per nutrirli col bottino della caccia effettuata.

L’ultimo pensiero in questo breve viaggio naturalistico al Polo Nord va all’infaticabile sterna artica, l’unico animale insieme alle foche capace di vivere agli estremi del mondo, anzi di raggiungerli in volo. E’ questo fantastico uccello il protagonista della più lunga migrazione terrestre: 70.000 chilometri l’anno e 2,4 milioni di Km nel corso dei suoi 30 anni di vita, in pratica tre volte andata e ritorno tra la terra e la luna (dati della National Geographic Society)!!
La bellissima sterna realizza questo incantesimo, fa idealmente abbracciare i ghiacci del Polo Nord con quelli del Polo Sud.
Impariamo ad amarli e a conservarli, contribuiamo anche con piccoli gesti a una coscienza ecologica davvero mondiale, altrimenti tra poco sotto gli eterni ghiacci si troveranno anche le lance preistoriche e le zanne dei mammuth. L’uomo deve compiere azioni diverse e virtuose come la raccolta dei 4.000 semi di piante protetti in una sorta di banca del freddo persa nel Circolo Polare Artico: grazie a questa iniziativa le piante e i frutti di tutto il pianeta saranno sempre disponibili, anche in seguito a guerre, carestie, cambiamenti climatici ed estinzioni.

Il migliore saluto al mondo del freddo nella mia visione ce lo offre il geniale Ludovico Einaudi che come potete vedere in questo filmato tratto da You Tube si è fatto montare il suo pianoforte su una grande zattera al largo delle Isole Svalbard e coperto dal cappotto, con le mani gelate, gli occhi rapiti a guardare i crolli del ghiaccio in mare, ha suonato la sua “Elegy for the Arctic”. Si sarà emozionato anche lui. Grazie Einaudi, per questa meravigliosa musica che esce dal bianco.

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