Dalla Guerra Civile a Mississippi Burning
Me lo sono rivisto per la terza o quarta volta credo, il memorabile film con Gene Hackman e Willem Defoe. Per trovare l’ispirazione nello scrivere questo piccolo e dolente affresco sul fiume. Per provare, inutilmente, a capire, perché l’America profonda, il “Deep South”, fu capace nel finire dell’800 e per buona parte del ‘900 di commettere così tanti errori e ancora più gravi orrori.
Il razzismo non trova nessuna spiegazione nella morale delle persone perbene. E tanti americani dell’Alabama, del Tennessee, della Georgia, della Louisiana, degli altri stati attraversati dal grande fiume erano sicuramente persone perbene. Dedite ai loro campi, alle loro piantagioni, alle loro residenze, alle loro ricchezze. Incapaci forse di trasformarsi in abili commercianti come negli stati nordisti, con questo vento dello sviluppo, del progresso, che non li ha colti.

Nell’umido sud le famiglie più potenti sono rimaste a sorvegliare i loro averi, a mantenere lo status di aristocratici latifondisti. Impiegando forza lavoro tra i poveri neri immigrati, dando loro in molti casi anche un tetto, cibo, istruzione, possibilità di vivere discretamente bene. In cambio di schiene spezzate nei campi di cotone.
Ma la lunga Guerra Civile che tra il 1861 e il 1865 ha dilaniato l’America, pur conservando lati e episodi oscuri, tradimenti infidi e massacri inutili, ha messo in luce soprattutto due cose, due dimensioni: un nord del paese fiducioso in un certo tipo di progresso economico e di vita civile e un sud invece più restio a seguirlo, un nord veloce, con imprenditori moderni, orgogliosamente antischiavisti e un sud invece in molti proprietari terrieri schiavista, ottuso, antico e tradizionale.

(qui sopra il luogo di una delle battaglie decisive della Guerra Civile Americana, combattuta a Chattanooga, nel Tennessee)
Fu così che contro l’abolizione della schiavitù emanata da Abramo Lincoln (anche su questo aspetto restano alcune ombre, per alcuni storici Lincoln non era animato da spirito egualitario ma da motivazioni solo politiche ed economiche, atte ad evitare ribellioni, separatismi, modelli economici desueti, molto agricoli e poco industriali) i Confederati Stati del Sud cercarono la propria inutile Secessione. Le forze in campo erano impari: 22 milioni di abitanti nel nord contro 9 nel sud, un milione di giacche azzurre contro la metà di giacche grigie. Più armi, più soldi e organizzazione a nord, più coraggio, temperamento e più disperazione nel sud.


Il risultato fu che la sconfitta dei sudisti lasciò 600.000 morti totali sul campo, anche tra i fratelli nemici, e gli Stati Confederati ridotti in cenere, isolati, fermi alle loro arretratezze economiche, culturali, civili e purtroppo in molti casi ancorati a forme di segregazione razziale sempre più cattive, sempre più accentuate. I neri e i loro diritti vennero visti da tanta parte del popolo sudista come l’origine di tutti i mali. Della rovina sociale ed economica portata dalla Guerra.
Nasce qui, in questo humus, in questo odio razziale, un disagio profondo, una morale abbietta, destinata a rimanere sottotraccia, ma neppure tanto, per almeno tutto il secolo successivo. Episodi di accanimento razziale, agguati, morti, impiccagioni sommarie all’inizio, forme di apartheid più sottili e più scandalose successivamente. Gli anni incommentabili del Ku Klux Klan.

E chiedendo scusa per un salto temporale che può sembrare eccessivo o artefatto ma che dipende solo dal respiro corto di un articolo di viaggio, veniamo al nostro film.
“Mississippi Burning” di Alan Parker racconta magistralmente il clima morale di una piccola cittadina lungo il fiume nella Contea di Neshoba e dei cruenti fatti avvenuti qui nel 1964, l’omicidio di tre attivisti (due bianchi e un nero) a opera del corrotto vice-sceriffo e di alcuni malviventi dell’ultra destra locale. Quei signori che vanno in chiesa e fanno colazione la domenica in famiglia per poi incappucciarsi di bianco nelle notti di sangue del sud americano. Quelle anime belle che curano giardini e casette della provincia profonda e poi picchiano, bruciano, uccidono e seminano l’orrore col Ku Klux Klan. Intorno alla vicenda spiccano i caratteri e i metodi diversi dei due detectives protagonisti (uno spaccone e rude, l’altro educato e professionale), l’omertà della comunità, i dolenti gospel, i fuochi notturni delle croci fiammeggianti, le vendette vigliacche, il coraggio di una moglie, le sue percosse, fino all’arresto di tutti gli assassini che in un ambiente talmente inquinato si rende possibile seguendo soprattutto la logica sbrigativa del collega più anziano.
Il film fu una botta al cuore e una vergogna per tanti americani progressisti, incapaci di credere a questa denuncia cruda e clamorosa di uno stato del Mississippi così invischiato in torbide atmosfere di razzismo e intolleranza. Con predicatori invasati d’odio, menti arretrate, silenzi colpevoli, delitti orribili, in piena età moderna.
Questo film fece bene all’America.
Infatti pochi anni fa un altro film, ambientato quasi nella stessa area geografica, “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” ha aperto il velo su altre violenze e su altre reticenze.

Kerouac sul Mississipi
Negli anni ’50-’70 del secolo scorso il grande fiume che taglia in due l’America è stato ovviamente vissuto anche come un luogo del libero vagabondaggio. Poco c’entravano la morale gretta di quegli stati o i retaggi dello schiavismo per fortuna, scrittori e viandanti cercavano lungo il suo corso la purezza del viaggio e della strada. Jack Kerouac ne parla in alcune pagine del suo romanzo principale, “On the Road” (1957), destinato a diventare la bibbia letteraria di riferimento della Beat Generation per la libera sperimentazione che proponeva del sesso, delle droghe, dell’alcol, del jazz, attraversando paesaggi, città e storie di un continente. Nel caso di Sal, Dean e Mary Lou anche le regioni del Sud, tra Selma, la città dell’Alabama che ospiterà nel 1965 le marce per la libertà di Martin Luther King per il diritto di voto ai neri, e New Orleans, con le sue paludi e il suono sensuale del jazz.

Ecco alcuni brani: “Ci ritrovammo ad attraversare col battello il Mississippi – Adesso dobbiamo scendere tutti e guardare il fiume e la gente e respirare il mondo disse Dean… Ci curvammo sul parapetto a guardare il grande bruno padre delle acque scorrere giù dal centro dell’America come il torrente delle anime perdute: trasportando tronchi del Montana e fanghi del Dakota e vallate dello Iowa…”.
E infine l’arrivo a New Orleans, la magia della notte, delle luci, dei battelli e la metafora dell’odore: “si poteva sentire l’odore del fiume e veramente sentire quello della gente, e del fango, e della melassa, e ogni genere di esalazioni tropicali…” – “al di là del fiume New Orleans splendeva di una luce arancione, con alcune navi oscure agli orli… i fuochi del ferry boat lucevano nella notte, gli stessi negri affondavano le pale e cantavano…”.
Impressionante il presagio su Algiers, un sobborgo del delta, da dove New Orleans appare scintillante sulle acque: “Algiers, sonnacchiosa, allungata fra le acque, con tutte le sue api e bicocche, probabilmente sarebbe stata spazzata via un giorno o l’altro…”. Una pagina scritta più di mezzo secolo prima dello sconvolgente uragano Katrina…

(continua nel Topic “Metropolis” con “New Orleans e le sorelle del fiume”)
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